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« Torna agli articoli di Marina Corradi

Piazza San Pietro è colma di fedeli, la fumata è bianca, la finestra è già aperta. «Habemus Papam», si annuncia. Ma il Papa non si affaccia. Il Papa di Nanni Moretti è amnesico, e drammaticamente depresso dopo l'elezione. Si chiude nelle sue stanze fra la costernazione dei cardinali e del mondo intero. Viene convocato in Vaticano un famoso psicoanalista, che naturalmente è Moretti stesso; ma il Papa scappa, vaga sui bus di Roma, sogna di far l'attore mentre Moretti, prigioniero del Conclave, gioca a scopa con i principi della Chiesa. Il mondo però non può attendere oltre: il Papa, ricondotto a San Pietro, annuncia Urbi et Orbi che non ce la fa, nello sgomento collettivo, e rinuncia.
Habemus Papam è un film ben fatto. Si sorride nell'ironia e autoironia di Moretti, che avviluppa questo moderno "gran rifiuto" nel consueto groviglio di una tentacolare psicoanalisi che avviluppa ogni cosa, senza peraltro guarirne nessuna. Come non sorridere guardando la elegante faccia da "sessantottato" di Moretti che racconta ai cardinali perché la moglie, naturalmente anche lei psicoanalista, lo ha lasciato per un altro psicoanalista? E quel Papa smarrito, un grande Michel Piccoli, non fa forse tenerezza mentre cerca se stesso per Roma, e non si trova? Anche i cardinali sono raccontati con una simpatia affettuosa, uomini semplici che giocano a carte e a pallavolo per ingannare l'attesa. Purtroppo, appunto, questa Chiesa amichevolmente raccontata dietro le quinte del Conclave sta per finire: giacché il successore di Pietro, smarrito, rifiuta.
Insomma, questa volta non la Messa (per citare un suo precedente film, La Messa è finita, del 1985), ma proprio la Chiesa è finita. Non c'è acrimonia nel film, anzi quasi un'ombra di malinconia. Come le condoglianze di Moretti al capezzale di una grande vecchia, per cui si aveva una qualche simpatia. Chi guarda, pure sorridendo, non può non vedere però che questa Chiesa non è quella reale, ma quella che Moretti immagina.
Fateci caso: tra i 107 cardinali che vegliano in un momento così grave, c'è chi fa i puzzle e chi beve tranquillanti, ma il regista non ne immagina nemmeno uno che preghi. Già, che preghi: non uno che domandi a Dio. Una dimenticanza non casuale. Nello sguardo di Moretti la Chiesa è fatta solo dagli uomini, e Dio è il grande latitante – per non parlare dello Spirito Santo, che in questa elezione avrebbe clamorosamente fallito. E come il povero Papa depresso, anche i cardinali, pure così simpatici, sembrano prescindere dal primo fondamento della fede cristiana: cioè l'essere in Cristo, cioè il radicale costante rapporto con la carnale concretezza di Cristo. Brava gente, generosa, che però non sa a che santo votarsi. Certo, una Chiesa senza Cristo sarebbe destinata a finire. Non è andata così, da duemila anni a questa parte, ed è strano. Tutti gli imperi, i regni, i partiti, le rivoluzioni, tramontate. E il trono di Pietro ancora lì – inspiegabile.
Lo sguardo pure acuto di Moretti vuole vedere nella Chiesa solo una faccenda di uomini. Cresciuto nei tentacoli di una psicoanalisi di cui sa sorridere, Moretti non si accorge che la Chiesa di Habemus Papam è solo, per usare il gergo psicoanalitico, una sua "proiezione". Ha immaginato la morte di una Chiesa vecchia e confusa, ma gliene è sfuggita l'essenza: l'essere la Chiesa "corpo e membra" di Cristo. Film elegante, con bravi interpreti, che può piacere a Cannes. Il film di cui il pubblico, uscendo dalle sale, dirà: carino e intelligente. Attenzione però a quella profonda dimenticanza, a quel non sapere vedere l'essenziale in questa vecchia Chiesa, che tuttavia sopravviverà anche a Freud e ai suoi eredi. Cioè, grazie delle gentili condoglianze, ma la Chiesa – cioè noi, credenti in Cristo – siamo ancora piuttosto vivi.
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