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Un fatto del quale si sta scrivendo molto sui giornali di mezzo mondo vede protagonista un prelato americano, Thomas Tobin, vescovo di Providence, nel Rhode Island, il quale ha negato la comunione al deputato democratico Patrick Kennedy, figlio del senatore Ted recentemente scomparso. Il vescovo ha motivato la sua decisione ricordando che il Kennedy in questione è un politico cattolico apertamente favorevole all’aborto.
È di pochi giorni fa la notizia di un altro fatto dello stesso tenore, che si è verificato in Europa, precisamente in Spagna. Qui, il Segretario generale della conferenza episcopale spagnola, Mons. Juan Antonio Martinez Camino, ha detto che i politici cattolici che voteranno a favore della legge ora in discussione nel Paese iberico, che faciliterà ancor più la possibilità di abortire volontariamente, come auspica Zapatero, non saranno ammessi alla Comunione.
Due episodi che si pongono sulla medesima linea d’onda, e che meritano una breve considerazione. Perché entrambi hanno suscitato un vespaio di polemiche e di accuse nei confronti della Chiesa in generale e di quei vescovi in particolare. Che cosa dire dunque?
In primo luogo, i due prelati altro non han fatto che richiamare una misura prevista dal Codice di diritto canonico. Non hanno inventato nulla, né preso decisioni personali, unilaterali e imprevedibili. Recita infatti il Canone 1398: «Chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae». E quel “latae sententiae” sta ad indicare che la misura disciplinare scatta automaticamente, anche in mancanza di una precisa deliberazione.
In secondo luogo, e senza giri di parole, va detto che chiunque, a maggior ragione se cattolico, politico o non, sia favorevole all’aborto volontario è per ciò stesso favorevole alla «uccisione deliberata e diretta di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza» (Evangelium vitae, 58). Perché l’aborto volontario è un omicidio. Anzi, qualcosa di più grave: è l’omicidio di un essere umano innocente.
In terzo luogo, va ricordato che la scomunica è comminata non solo a chi abortisce volontariamente, ma anche «a quei complici senza la cui opera esso (l’aborto) non sarebbe stato realizzato» (Evangelium vitae, 62).
In quarto luogo, la scomunica – nelle intenzioni della Chiesa – resta una pena certamente gravissima, ma finalizzata a persuadere chi ne fosse colpito della gravità del suo “delitto”, inducendolo a conversione e penitenza. E la gravità è data dal pericolo della dannazione eterna cui incorre chi morisse scomunicato dalla Chiesa.
Infine, questa è la legge plurisecolare della Chiesa. Legge che riguarda tutti i battezzati, legge che prevede una pena di carattere spirituale. Se un cattolico come Patrick Kennedy non intende rispettarla, ha facoltà di farlo. Se la vedrà poi personalmente con il giusto Giudice.
Se i due vescovi, dunque, non potevano fare diversamente, allora hanno fatto bene!
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