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« Torna agli articoli di Stefano Biavaschi

In che cosa consiste la visione beatifica? Nella condizione di beatitudine promessa dal Vangelo in che misura potremo contemplare Dio? Nella Prima Lettera ai Corinzi San Paolo scrive che, una volta redenti ed entrati nella gloria di Dio, potremo contemplarlo «faccia a faccia» (1Cor 13,12). Dinanzi a questa fortissima affermazione, nei secoli si sono sviluppate due correnti: i Padri delle Chiese orientali tendevano a negare la possibilità che si potesse vedere Dio in modo perfetto, in quanto la perfezione è solo di Dio, e solo le Persone divine, nella loro infinitudine, potevano conoscersi totalmente. In particolare, Crisostomo affermava che neppure gli spiriti celesti più alti, ossia neppure i Cherubini e i Serafini, possono vedere Dio così com'è, e Dionigi l'Areopagita nel suo De Divinis Nominibus sosteneva che Dio non è oggetto di conoscenza, in quanto superava ogni conoscenza, e in altri scritti parlava perfino di «tenebre che coprono Dio», da lui denominate «sovrabbondanza di luce», che «oscurano ogni lume e si nascondono a ogni conoscenza»: perciò, secondo lui nessun intelletto creato potrà vedere Dio nella sua essenza, perché «Dio rimane invisibile per l'eccesso del suo splendore». Questa posizione era in linea con la spiritualità bizantina, che ha sempre sottolineato l'aspetto dell'assoluta trascendenza di Dio rispetto all'uomo.
LA VISIONE PERFETTA
Nelle Chiese occidentali, invece, e in particolare nella Chiesa di Roma, prevalse la tesi secondo la quale all'uomo, tramite la grazia santificante, viene concessa la possibilità di una visione perfetta una volta raggiunta la condizione di beatitudine, così come uno specchio è in grado di riflettere per intero la luce del sole pur non identificandosi con esso. Nel Medio Evo, grazie anche al contributo di teologi mistici, prevalse questa seconda posizione, tanto che già nel 1241 e nel 1244 la Chiesa sconfessò la tesi della "visione imperfetta". Questo provocò un lungo dibattito che si concluse con la presa di posizione ufficiale e definitiva di Benedetto XII, che pose fine alla controversia sulla visione beatifica, promulgando il 29 gennaio 1336 la costituzione Benedictus Deus, nella quale sancisce, sotto forma di articolo di fede, che i giusti che salgono al Cielo contemplano l'Essenza divina con una visione intuitiva e diretta, in una beatitudine che continua nell'eternità. Del resto, già l'apostolo Giovanni nella sua Prima Lettera, aveva scritto: «Saremo simili a Lui, poiché lo vedremo come egli è» (3,2-3), confermando quel «vedremo faccia a faccia» con cui San Paolo introduceva il suo «conoscerò perfettamente» (1 Cor 13,12).
IL DUALISMO ARTIFICIOSO MENTE/CUORE
A quel punto si aprì perfino la strada a quanti sostenevano la possibilità di accesso alla visione beatifica già ai santi sulla terra. Ma il dibattito teologico su questo punto si era già confrontato e ne erano nate posizioni divergenti: gli agostiniani, per esempio, sostenevano la possibilità della contemplazione beatifica perfetta solo "in patria" e non "in via", cioè solo con l'ingresso dell'anima nel Paradiso, e pertanto successivamente alla morte. Anche San Bernardo di Chiaravalle riteneva fosse impossibile la "visio facialis" di san Paolo durante la vita, e sosteneva che questa fosse possibile nella condizione ultraterrena solo grazie all'amore perfetto che fondeva creatura e Creatore pur nella loro distinzione. Questo stesso amore, secondo la spiritualità francescana (San Bonaventura, Duns Scoto...) rendeva possibile sulla terra questa anticipazione della "visio beatifica", mentre per i domenicani (San Alberto Magno, San Tommaso d'Aquino...) era l'intelletto, e non il cuore, lo strumento per accedere alla contemplazione di Dio. In realtà si trattava di un dualismo artificioso, perché il dualismo mente/cuore si risolve appunto nello stato di grazia che apporta una condizione unificante delle varie capacità umane.
UN DONO DELLA GRAZIA, NON UNA CONQUISTA DELLA MENTE
A tal proposito San Tommaso aveva introdotto il concetto di "lumen gloriae", una condizione speciale della grazia santificante che permetteva a Dio di ampliare all'infinito la capacità conoscitiva degli esseri umani così come degli angeli. Nonostante questa centralità conferita alla grazia, la tentazione di considerare possibile l'accesso alle conoscenze più alte tramite un itinerario filosofico dell'intelletto riaffiorò nel corso dei secoli, ma la posizione dell'ortodossia cattolica fu sempre quella di ritenere la "visio beatifica" un dono della grazia, e non una conquista della mente, sebbene quest'ultima dovesse ovviamente essere ben predisposta ed allineata con il cuore.
Evitato il pericolo dello gnosticismo (possibilità di raggiungere la conoscenza divina con le proprie forze), la teologia evitò anche quello del panteismo, che sotto l'influsso pressante delle religioni dell'Oriente pretendeva di far coincidere la visione beatifica con l'assoluta identificazione tra Dio e creatura. La dottrina del "lumen gloriae", del resto, aveva spiegato chiaramente che la fusione non portava all'identificazione, ma che, nello stato di gloria, Dio vede se stesso nell'Anima che lo rispecchia, riempiendo con la sua presenza il vuoto che l'anima ha fatto in sé.
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