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« Torna agli articoli di Giano Colli

Il suo mondo era sovrappopolato e così lui e milioni di altri suoi simili furono scacciati via e mandati in un mondo alieno, condannati a morte sicura.
C'era una unica navicella spaziale e solo chi l'avesse raggiunta si sarebbe salvato. Fu una lotta furibonda: l'amico lottò contro l'amico, il fratello cercò di sopraffare il fratello, nella speranza della salvezza.
Lui era giovane, forte e agile. Lui entrò. Automaticamente la navicella, che era stata concepita per uno soltanto, si chiuse ermeticamente costringendo gli altri ad una lenta agonia in quell'ambiente ostile.
Per lui il viaggio era cominciato. La navicella era di forma pressoché sferica e conteneva tutto il necessario per la sua sopravvivenza. A lui non restava che farsi trasportare, alla ricerca di un mondo nuovo in cui vivere. Nella peggiore delle ipotesi avrebbe vagato fino alla morte, nella più completa solitudine, ma questo ora a lui non interessava: per ora era in salvo. Stremato dalla lotta si addormentò.
Il tempo passò: ore, anni o secoli, non importa. Lentamente iniziò in lui un processo di mutazione. Quell'asettica navicella su cui era salito sembrava essere viva e addirittura cominciò a fondersi con il suo corpo in una abominevole simbiosi. Forse tutto ciò era necessario per la sua stessa sopravvivenza durante quel viaggio interminabile oppure era una degenerazione dovuta allo spazio alieno in cui viaggiava.
Altro tempo passò e lui crebbe in modo enorme e mutò orribilmente e la navicella insieme a lui. Anzi, ormai lui e le navicella non esistevano più come enti distinti, ma esisteva solo quell'enorme essere che era la loro simbiosi. Ma anche questa nuova creatura non era abbandonata nello spazio alieno, ma si trovava dentro un involucro a lei favorevole. Probabilmente si trattava dell'universo stesso da cui era partita prima (ma quanto prima?) la navetta.
La creatura dormiva dolcemente in questa struttura molto complessa, alimentata direttamente da una specie di flebo che le portava le sintesi alimentari necessarie. E intanto il viaggio continuava. La crescita dell'essere sembrava terminata e così pure le mutazioni. Il suo corpo era uniformemente colorato, ma era cresciuto a dismisura, tanto da occupare quasi tutto l'universo stesso. Tutto era tranquillo e dolce era cullarsi in quel viaggio senza meta.
Ma un giorno successe il cataclisma: le pareti dell'universo cominciarono a contrarsi su di lui. Dapprima quasi impercettibilmente, poi si fecero sempre più violente. Certo era sottoposto a sollecitazioni esterne di natura sconosciuta. L'enorme essere cominciò a svegliarsi dal suo secolare torpore e provò paura. Le pareti dell'universo vibrarono intensamente, poi si squarciarono. Era la fine del viaggio, la fine di tutto. Fu violentemente risucchiato all'esterno e perse conoscenza.
"Complimenti signora: è un bel maschietto! Proprio un bel bambino. Sorridi piccino, ora sei uno dei nostri!"
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