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« Torna agli articoli di Gianpaolo Barra

Nel bel libro di Alessandra Borghese su Lourdes, la cui recensione trovate a pagina 62, si racconta un episodio che fa pensare.
Un giorno, l'autrice viene chiamata a prestare servizio alle piscine dei bambini. Forse è utile ricordare, per chi non lo sapesse, che le piscine sono le vasche riempite di quell'acqua miracolosa, ove sani e malati si immergono in cerca di una grazia, una guarigione, un conforto, una conversione. Quelle degli adulti sono separate da quelle destinate ai piccoli e nelle une come nelle altre prestano servizio i volontari.
Quel giorno, una madre vi conduce i suoi due piccoli. Una ragazzina, che ha il volto segnato da una cicatrice devastante, tutta ritorta su se stessa, evidentemente affetta da una gravissima patologia, e un bambino che si presenta sano, vivace e bello.
Donna Alessandra li accoglie e comincia a spogliare con delicatezza la bimba, come si deve fare prima di immergerla nell'acqua benedetta. Forte è la paura di sfiorare le ferite, di procurare dolore. Per questo, si muove con impaccio e cerca forza nella preghiera.
Prima di proseguire, consentitemi un richiamo ad un'esperienza personale: so di che cosa parla il libro, perché per diversi anni ho prestato servizio a Lourdes, proprio alle piscine, e anch'io, una volta, fui incaricato di operare in quella dei bambini. Quel che si vede, quel che si vive - e le grazie che si ricevono - sono indimenticabili.
Torniamo al fatto. Bisognosa di incoraggiamento credetemi, non è cosa facile - Alessandra incrocia lo sguardo della madre, che intanto teneva a bada l'altro figlio. E da questa si sente dire: «Anche lui è malato, ha un tumore al cervello. Il Signore mi ha chiesto di amarli, anche se sono ridotti così».
Non vi dico quel che accade dopo, leggerete il libro.
Ma vi prego di soffermare la vostra attenzione sulle parole di quella donna: «Il Signore mi ha detto di amarli, anche se sono ridotti così».
Ora, deponete il libro e leggete questa pagina nera di una cronaca, la nostra, altrettanto nera.
In un ospedale napoletano, un bambino, giunto alla 21 ma settimana di vita nel grembo della propria madre, viene eliminato con l'aborto perché affetto dalla sindrome di Klinefelter, una malattia che procura, spesso, sterilità, ma che per il resto è curabile.
A qualcuno sorge il dubbio che la legge 194, grazie alla quale in Italia sono stati assassinati quasi cinque milioni di bambini negli ultimi trent'anni, non sia stata rispettata, perché l'aborto sarebbe stato effettuato fuori tempo massimo, e chiama la questura. Che si muove per indagare, come è giusto che sia.
Apriti cielo: in diverse città italiane, femministe isteriche e indignate manifestano tutta la loro rabbia. Ce l'hanno con Giuliano Ferrara, perché ha scritto che quel bambino «aveva occhi, naso, bocca, piedi, cuore, sistema nervoso e tutto il resto» e non doveva essere ucciso. Se la prendono con la Chiesa, con il Papa, con la Cei, con i medici obiettori di coscienza, con i pro-life, con chi difende la vita fin dal concepimento e minaccia quello che per loro è un diritto, il diritto di abortire. La grande stampa dà manforte, interviene il ministro della sanità Livia Turco, scandalizzata. Solo qualche giorno prima, aveva affermato che le sembrava "crudele" - ha detto proprio cosi! - curare un bambino nato troppo prematuro senza l'autorizzazione dei genitori (tenere presente, per cortesia, prima di votare.. .).
Ora, non vi viene voglia di fare un confronto? Di chiedervi che cosa distingue la mamma di Lourdes dalle scatenate femministe? Se chiedete un parere ai soliti "esperti", aspettatevi mille risposte.
A me ne basta una: la prima vive d'amore, le seconde traboccano d'odio.
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