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« Torna agli articoli di Carlo Bellieni

Chissà perché si parla di prematuri solo sottolineando quali far vivere e quali morire, e non si tratta mai dei grandi progressi che la medicina ha fatto nell’ultimo decennio nella loro cura? Questa visione necrologica della neonatologia è stigmatizzata dall’ultimo editoriale della prestigiosa rivista Acta Paediatrica, e sottende l’idea che il bambino abbia “qualcosa” di meno dell’adulto, in una società fatta per soggetti “normali”, cioè sani e adulti. Già: nessuno esiterebbe ad intervenire qualora si trovasse in presenza di un autista ferito in un incidente stradale gravissimo, a rischio di morte o di disabilità: perché è diverso per il neonato? Vediamo di capire.
Sopravvivenza e malattia. Sappiamo oggi che nascendo a 22 settimane dal concepimento, si ha una possibilità su 10 di farcela, mentre a 23 settimane le possibilità sono una su quattro. Non sono valori trascurabili. Certo, molti di questi bambini avranno problemi di salute, di diverso tipo e diversa gravità, ma al momento della nascita non possediamo strumenti per fare previsioni sul singolo bambino. I progressi nel campo neonatale hanno consentito traguardi prima impensabili: oggi sopravvive il 90% dei nati sotto il chilo di peso, contro il 10% di 40 anni fa. Recenti lavori mostrano che i centri che provano ad assistere tutti i nati dalle 22 settimane in su, non hanno un tasso di handicap maggiore di quelli che invece operano una assistenza selettiva. Anzi, per un recente studio svedese, i centri “selettivi” invece di diminuire il tasso di handicap, lo incrementano .
Rispettare i genitori. Sappiamo anche che la nascita prematura è un evento spesso improvviso e traumatizzante per i genitori; e che le cure devono essere intraprese immediatamente all’uscita dall’utero. Dunque c’è purtroppo tempo per spiegare ai genitori le possibili patologie che potrebbero attendere il bambino, cosa che richiederebbe diverse ore e che verrà fatta in un momento successivo. Tuttavia i genitori devono costantemente essere tenuti informati di tutti i passaggi delle manovre mediche e delle risposte del piccolo paziente. D’altronde, non si capisce su cosa dovrebbero “decidere” i genitori o i medici, dato che la situazione, pur drammatica, è semplice: se c’è una chance, va data; se non c’è non si deve insistere. A meno che non si pensi che la disabilità futura sia un motivo per non rianimare. Ma, a parte che alla nascita non possiamo saperlo, a meno di avere una sfera magica, questo non è moralmente accettabile. Semmai è importante non insistere se gli interventi sono inutili.
Leggi e decreti. Il Ministero della Salute e il Comitato Nazionale di Bioetica hanno istituito delle commissioni per valutare il tipo di cure da dare a questi piccolissimi. Il parere della commissione del Ministero è ora al vaglio del Consiglio Superiore della Sanità. Ribadiamo il concetto di fondo: i neonati hanno diritto alle stesse cure dei pazienti adulti. Non sono cure sperimentali (si usano da 30 anni); non sono cure straordinarie (si tratta solo di mettere un tubicino di 2 millimetri di diametro in gola per dare aria ai polmoni), non possono essere subordinate alla ipotetica disabilità (se fosse così, si giungerebbe a curare solo chi si prevede ritornerà in piena salute). Viviamo una cultura che accetta solo chi si sa integrare e pensa che alla difficoltà grave esistenziale si possa rispondere solo facilitando l’uscita di scena, per le categorie che si devono accontentare delle briciole, cioè anziani, piccolissimi e disabili. Siamo certi, però, che chi deve decidere sa bene che non esiste una “zona grigia” in cui la vita umana valga solo a certe condizioni. Diamo a tutti una chance: è il compito del medico chiamato a far bene il proprio dovere.
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