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« Torna agli articoli di Francesco Ramella

Riapre Chernobyl. Ma non produrrà più energia elettrica. Viktor Baloga, ministro delle Emergenze ucraine, si propone di trasformarla in un’attrazione per turisti. Da gennaio si parte con le visite organizzate nel sito nucleare. E non si tratta di turismo "estremo" o di qualche giro "horror" per ricconi in cerca di emozioni forti. Sarà invece turismo popolare, aperto a tutti, e il motivo è semplice: la realtà di Chernobyl è ben diversa da come ce l'hanno descritta in questi anni.
E' infatti trascorso un decennio dalla fermata dell’ultimo reattore rimasto attivo e quasi un quarto di secolo dall’incidente della centrale ma, probabilmente, saranno in molti a rabbrividire di fronte al pensiero di una gita in Ucraina, proprio là dove è accaduto quello che nell’immaginario collettivo rimane il disastro per antonomasia con decine o addirittura centinaia di migliaia di vittime.
La verità “giornalistica” non trova però riscontro nella realtà dei fatti. Il più completo studio sugli effetti dell’incidente, predisposto alcuni anni fa dal “Chernobyl Forum”, un organismo formato da otto agenzie delle Nazioni Unite, è giunto a conclusioni di gran lunga meno drammatiche.
Secondo il rapporto, sono direttamente riconducibili all’incidente meno di cinquanta decessi, registrati per la quasi totalità tra gli addetti che operarono nei pressi dell’impianto.
Una tragedia, certo, ma molto meno grave di altri episodi che hanno interessato il settore della produzione di energia: per limitarsi a quella idroelettrica ricordiamo il crollo, nel 1976, della diga sullo Yantze in Cina che provocò oltre duecentomila morti o, nel nostro Paese, il disastro del Vajont con più di duemila vittime. E nelle miniere di carbone ogni anno le vittime sono molte centinaia.
Di fronte a tali accadimenti si richiede, giustamente, che vengano migliorati gli standard di sicurezza degli impianti e ridotti i rischi per gli addetti ma non risulta sia mai stata auspicata la messa al bando delle centrali a carbone o di quelle che sfruttano l’energia generata dalla caduta dell’acqua.
Paradossalmente, a Chernobyl i danni più gravi non furono causati delle radiazioni ma della paura delle stesse che portò alla evacuazione di oltre 350mila persone, solo in minima parte necessaria per evitare rischi sanitari. Molte fra queste persone hanno sofferto di problemi gastrointestinali ed endocrinologici non correlati alle radiazioni e hanno subito le evidenti ricadute negative conseguenti allo sconvolgimento delle relazioni famigliari e sociali.
Ancora più tragiche sono state le conseguenze che l’ingiustificato allarme determinò in tutta l’Europa: si stima infatti che nei mesi successivi all’incidente di Chernobyl alcune migliaia di donne abbiano abortito temendo inesistenti danni ai feti a causa delle radiazioni.
La scarsa sicurezza non sembra quindi essere una buona ragione per rinunciare all’energia atomica. Qualora, come auspicato dall’attuale governo, si volesse tornare al nucleare, non sarà però facile ricostruire un contesto non pregiudizialmente sfavorevole. Difficile, dopo aver per anni alimentato una paura irrazionale, tornare a ragionare spiegando che vivere accanto ad una centrale comporta un rischio molto minore rispetto a quelli in cui si incorre nelle attività di ogni giorno, ad esempio, tutte le volte che si sale su un’auto.
Il “no” alle centrali potrebbe invece essere giustificato sotto il profilo economico. Da sempre, questa forma di produzione di energia è vissuta, in Italia come all’estero, sotto le ali protettive dello Stato senza dover dimostrare di essere più conveniente delle altre opzioni disponibili.
Al “no” dettato dalla paura non dovrebbe far da contraltare un “sì” ideologico al nucleare. Non è compito dello Stato decidere quanti impianti realizzare né fornire speciali garanzie agli eventuali investitori sia in termini di tariffe che di priorità nell’immissione in rete dell’energia prodotta. Il soggetto pubblico dovrebbe limitarsi a garantire che venga meno ogni forma di “discriminazione” verso il nucleare lasciandolo poi competere ad armi pari con le altre fonti energetiche.
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