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Chi si aspettava che il governo di centro-destra intervenisse sul piano legislativo per limitare i danni dell’aborto moderato, deve ricredersi. L’approvazione della pillola RU486 rende l’aborto più facile, oggi possibile in Italia anche a domicilio. La prima responsabilità risale all’Agenzia del Farmaco (AIFA), un organismo sanitario preposto a tutelare la nostra salute e non certo a facilitare la soppressione della vita umana.
È stato infatti il CDA di questo organismo ad autorizzare, il 30 luglio, l’impiego su larga scala anche in Italia della pillola abortiva RU486. Ma responsabilità non minori vanno addebitate al governo, che nulla ha fatto per evitare che si giungesse alla legalizzazione di questo «pesticida umano» (la definizione è del grande genetista Jerôme Lejema). «Si realizza così […] – osserva giustamente Giuliano Ferrara – uno tra i più diabolici progetti di cancellazione etica del giusto e del decente, dell’umano e del razionale, che si siano conosciuti fino ad ora in Occidente» (“Il Foglio”, 30 luglio 2009).
Mons. Fisichella, presidente dell’Accademia per la Vita, ha rilevato che chi fa ricorso alla RU486 «sta compiendo un atto abortivo diretto e deliberato e deve sapere delle conseguenze canoniche a cui va incontro, ma soprattutto deve essere cosciente della gravità oggettiva del loro gesto. L’aborto è un male in sé, perché sopprime una vita umana; questa vita anche se visibile solo attraverso una macchina, possiede la stessa dignità riservata a ogni persona. Il rispetto dovuto all’embrione non può essere da meno di quello riservato a ognuno che cammina per la strada e chiede di essere accolto per ciò che è: una persona» (“L’Osservatore Romano”, 1 agosto 2009).
La conseguenza canonica cui mons. Fisichella si riferisce è la scomunica. Lo hanno ribadito il card. Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace (“Il Sole 24 ore”, 31 luglio 2009) e mons. Elio Sgreccia, presidente Emerito della Pontificia Accademia per la Vita (“La Repubblica”, 31 luglio 2009).
Tuttavia, anche le autorità ecclesiastiche, come la classe politica di centro-destra, hanno mantenuto finora un atteggiamento incerto e remissivo. Come ha sottolineato ancora Ferrara: «Dovrebbe scaturire, da questa brutta faccenda, una rivolta politica, morale e religiosa. Dovrebbero farsi sentire ministri, primi ministri, sottosegretari, presidenti di regione, deputati e senatori che già hanno sottoscritto questa battaglia contro l’ultimo ritrovato di una cultura pestifera. La classe dirigente e i pastori delle chiese cristiane, in primo piano la cattolica, dovrebbero uscire dal mutismo e dal balbettamento, evitare un inutile confronto sui dettagli e andare al cuore della questione» (“Il Foglio”, 30 luglio 2009).
Il problema non è rappresentato dai rischi per la vita (29 le madri finora morte per affetti collaterali) o dal fatto che la RU486 contraddice la Legge 194 perché l’aborto avverrebbe a domicilio invece che in una struttura pubblica (il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, criticando la pillola abortiva, è arrivata a definire la Legge 194 una «buona legge»! – cfr. “La Repubblica”, 31 luglio 2009).
La questione è che ci troviamo di fronte alla legalizzazione di una nuova forma di aborto volontario, ossia alla soppressione legalizzata di un essere umano innocente prima della nascita. Il ricorso all’aborto, ovvero la pratica dell’omicidio, sarà reso dalla legge più facile, inducendo nella mentalità l’idea che si tratti dell’assunzione di una medicina per curare un male e non di uno strumento funzionale alla soppressione della vita.
L’aborto farmacologico in sé non è né più né meno grave di quello chirurgico. In entrambi i casi si compie un abominevole delitto. La possibilità di utilizzare entrambi i metodi, con la benedizione dello Stato, dimostra però come il processo di dissoluzione della morale continui sistematicamente ad avanzare in Italia.
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