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« Torna agli articoli di Luca Marcolivio

Nel grande trambusto del crollo del regime libico (con le rovinose conseguenze sulla nostra borsa) è passato totalmente sotto silenzio un importante successo della diplomazia italiana in Medio Oriente. Dopo un braccio di ferro durato un paio di mesi, il Consiglio d'Europa ha finalmente votato la risoluzione che condanna le stragi dei cristiani in Egitto e in Iraq. È stato essenzialmente grazie all'insistenza del ministro degli Esteri, Franco Frattini, se nel documento è stato esplicitato il riferimento alla religione cristiana. In un contesto ultralaico come quello dell'Unione Europea, si tratta di una svolta senza pari. Il numero uno della Farnesina, tuttavia, ha dovuto faticare non poco nel conseguimento dell'obiettivo. Già in ottobre aveva denunciato la cristianofobia come "un rischio crescente e sempre più concreto". Pochi giorni dopo a Baghdad un kamikaze uccideva 58 fedeli cristiani, ferendone altri 75. Sotto Natale si era poi consumata la strage dei copti ad Alessandria d'Egitto (21 morti e 79 feriti), inducendo l'Unione Europea ad una risoluzione di condanna. Il primo testo scaturito lo scorso 31 gennaio aveva deluso Frattini e la trattativa era saltata. In quel frangente la cristianofobia (in forme ben più subdole...) aveva irretito i ministri degli Esteri UE, la maggior parte dei quali aveva preteso di condannare le violenze ma senza alcun riferimento alla fede religiosa delle vittime. Ciò aveva provocato il dissenso dei ministri degli esteri italiano, francese e polacco, privando il documento dell'unanimità, quindi impedendone l'approvazione. Nel testo si leggeva di un generico "forte impegno" del Consiglio d'Europa "a promuovere e a proteggere la libertà di religione e di fede senza alcuna discriminazione".
Di tutt'altro tono il documento approvato lunedì scorso: nella risoluzione i ministri degli Esteri dell'Unione Europea, "condannano fermamente gli attacchi contro i cristiani ed i loro luoghi di culto, i pellegrini musulmani e le altre comunità religiose". Da parte sua Catherine Ashton, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e per le Politiche di Sicurezza dell'Unione Europea, ha richiamato alla tutela della libertà religiosa "diritto umano universale che deve essere garantito da tutti". Lady Ashton ha inoltre esortato le autorità tunisine a restituire il corpo del missionario polacco Marek Rybinsky, assassinato la scorsa settimana.
La "primavera" che sta animando i paesi nordafricani, pone un serio interrogativo riguardo alla stessa libertà religiosa che sotto i governi recentemente caduti era tutelata, sia pure solo nominalmente. Una possibile affermazione dei Fratelli Musulmani in Egitto potrebbe scatenare un effetto-domino fondamentalista, con un alto rischio di riproduzione in larga scala di casi come quello di Asia Bibi, la 45enne cristiana pakistana condannata a morte per blasfemia. Il caso Bibi continua a spaccare l'opinione pubblica del grande paese indo-islamico: un'altra donna, la parlamentare Sherry Rehman, dopo aver presentato una mozione per ridimensionare la legge anti-blasfemia è stata indagata dal tribunale di Multan per lo stesso reato. La polizia locale, tuttavia, si è dichiarata incompetente ad intervenire sul caso, mentre altri giudici avevano negato l'autorizzazione ad arrestare la Rehman, sulla quale pendono le minacce da parte dei fondamentalisti. C'è quindi nel paese un consistente fronte favorevole ad un'abolizione o quanto meno una revisione dell'odioso reato. Lo stesso governo pakistano si era detto favorevole ad un cambiamento legislativo ma di fronte all'aggressività degli estremisti e all'omicidio del governatore del Punjab, Salman Taseer, pronunciatosi contro la legge, il premier Yousaf Raza Gilani si è rimangiato la parola.
È notizia di ieri che, sempre nella regione del Punjab, un'altra cristiana, la 50enne Agnes Nuggo, è stata arrestata con l'accusa di aver inveito contro il Corano e Maometto. Anche questa donna si proclama innocente.
Intanto tutti i cristiani del Pakistan si stanno mobilitando per la loro correligionaria Asia Bibi. Centinaia di attivisti del Christian Front Punjab, appoggiati dai vescovi locali, hanno tenuto un digiuno di protesta, chiedendo la revoca della condanna della donna e l'abolizione della legge antiblasfemia.
Il caso particolare di Asia Bibi, inquadrato nello scenario generale dello scacchiere medio-orientale, ci spinge, dunque, a quattro considerazioni:
1) C'è, nei paesi a maggioranza islamica, una forte componente propensa per la democratizzazione, la modernizzazione e la civilizzazione.
2) In questo contesto, le minoranze cristiane possono giocare un ruolo positivo e tutt'altro che secondario: è questo uno dei motivi della loro persecuzione.
3) L'Europa, malata di un tipo di cristianofobia speculare a quella fondamentalista, ribaltando questo atteggiamento può rendere giustizia a se stessa e farsi veramente garante della pace nelle turbolente regioni oltremediterranee.
4) L'Italia ha tutte le carte in regola per porsi all'avanguardia di un processo di ricristianizzazione delle istituzioni che potrà riverberarsi positivamente anche altrove.
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