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« Torna agli articoli di Costanza Miriano
Siccome la settimana è santa, ma io no, lo dico: Nanni Moretti mi annoia mortalmente ormai da molti film. E questo probabilmente depone un'ombra di scarsa nobiltà sulla mia decisione, che è la seguente.
Ascolterò il mio istinto, nonché autorevoli consigli come quello della Cei (e di Camillo Langone) e non andrò a vedere il suo film, investendo le oltre tre ore di tempo in qualcosa di più proficuo (pettinare le Barbie), per non parlare dei soldi per la baby sitter (mollette per Barbie, direi). Noi cattolici il Papa ce l'abbiamo già, e ha un cervello grosso così; non abbiamo nessun bisogno di andare a vedere Habemus Papam.
E non abbiamo bisogno di questo film neanche per sapere che l'uomo è debole, fragile, pieno di paure, praticamente una schiappa. Basta il Vangelo, lo dice in ogni pagina. Quella di ieri, per esempio, in cui il glorioso primo Papa della storia si proclama pronto a morire per Cristo ma lui non mangia la foglia, e lo avverte tranquillamente che presto lo rinnegherà tre volte. Ciò non impedirà a Gesù di mettere quel fifone e traditore a capo della Chiesa.
Non abbiamo bisogno di Nanni Moretti per immaginare le segrete incertezze di alcuni uomini di Chiesa, non ci serve a niente andare al cinema. Sono i non credenti che pensano che l'uomo sia rispettabile. Noi che nella Chiesa ci stiamo orgogliosamente dentro, le magagne le vediamo certo meglio di lui.
Perché, poi, dovrei chiedere a un non credente di parlarmi della mia Chiesa, alla quale io appartengo fieramente? So che è piena di piccolezze e povertà, lo so molto meglio di Moretti, perché la frequento, ma questo non mi smuove di un millimetro, perché è mia madre, e come ogni madre genera la vita, cioè Cristo fatto pane, e lei e solo lei,la Chiesa, mi può dare il perdono, può unirmi a un uomo nei cieli, può rendere i miei figli, figli di Dio. Perché dovrebbe interessarmi il parere di un non credente, almeno non credente nella Chiesa? Sarebbe come chiedere consigli di allenamento per la maratona alla bisnonna Irma.
Tanto meno ci serve perlustrare i misteri dell'inconscio attraverso l'analisi, che pizza. Ne conosco anche io di sacerdoti psicoterapeuti (come quello che ha accompagnato al cinema il giornalista del Foglio), persone che coniugano la conoscenza della psiche con le riposte della fede e penso, come dice il più intelligente di loro, che l'inconscio è un altro nome che abbiamo dato a Satana, con il solo risultato di sdoganare il suo lavoro. Di dare diritto di cittadinanza a qualsiasi venticello venga a turbarci. Ma come insegna padre Amorth con il diavolo non si dialoga, perché è troppo furbo, non gli si dà cittadinanza. E quindi non ci serve a nulla sondare turbamenti e perlustrare tremolii.
La risposta ai nostri tremolii non è la psicanalisi. A che ci serve per esempio sapere che quello che ci hanno fatto da piccoli non era perfetto? A che ci serve scoprire che il male esiste e agisce attivamente anche in quel mistero che siamo? L'unica risposta è la preghiera, che pulisce il cuore, lucida gli occhi della mente.
Non per niente il Vangelo dice di pregare sempre senza interruzione, non ogni tanto, non la sera e la mattina, ma sempre, senza addormentarci (...). Lo dice Gesù nell'orto degli ulivi: "vegliate e pregate per non cadere in tentazione", e la tentazione non è, secondo la solita vulgata sessantottina il sesso o la ribellione, la tentazione è non accettare di essere creature.
Non per niente il rosario comincia con "O Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto", che solo su queste parole ci sarebbe da fermarsi una mesata ogni volta. Per lo stesso motivo la Chiesa nei secoli ha continuato a invitare noi, suoi figli, non ad andare dallo psicanalista, ma a dire 50, 100, 150 volte al giorno – felice chi lo fa – "prega per noi peccatori", cioè noi che sbagliamo mira, noi schiappe, "ADESSO e nell'ora della nostra morte".
Invece il Papa di Moretti si guarda bene dal pregare: l'ho chiesto a una prestigiosa collega invitata alla prima: "sì, c'è un momento in cui lui entra in contatto con se stesso, quando fa un giro in autobus", mi ha detto. Ma la preghiera è esattamente il contrario: non cercare se stessi, ma Dio.
Invece Wojtyla, lui non è che pregasse, lui era preghiera. Quando facevano per lui gli itinerari degli spostamenti dovevano stare attenti che il tragitto non passasse davanti a un tabernacolo, perché il programma finiva per saltare. Lui che lì dentro ci fosse Cristo ci credeva davvero, e rimaneva lì inchiodato, era difficile portarlo via.
Dicono poi che in realtà Habemus Papam parli del problema pubblico privato, della contraddizione "non sono all'altezza di stare al gioco dell'altezza reale", e che ritragga un simpatico papa accidioso. Se l'avesse beccato santa Caterina, un'altra "donnetta da nulla, debole e ignorante" che prendeva a colpi di lettere tutti, papi compresi, avrebbe detto anche a lui "Maledetti voi, tiepidi! Che almeno fuste voi stati pur ghiacciati!... Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta Italia, non tanto costì".
Altro che accettare serenamente che il Papa è umano. Mi dispiace ma non se ne parla. La Chiesa non lascerà mai i simboli della sua grandezza, perché non parlano dei suoi uomini, ma della grandezza del mistero al quale rimandano.
Se volessi vedere un'icona della miseria umana mi basterebbe guardarmi allo specchio, ed è anche gratis.
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