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Il pensiero di Hitler e stato consegnato solo in parte, cioè nella prima fase della sua attività politica, al Mein Kampf. In questo testo confuso e logorroico, i pensieri del futuro dittatore si accavallano l'uno sull'altro, risultando spesso indigeribili. Però, per quanto riguarda il tema che a noi interessa, sono già in parte delineati. Hitler, infatti, afferma più volte due concetti: che la Chiesa cattolica è «in conflitto con le scienze esatte e con l'indagine scientifica», e che il cristianesimo si è imposto grazie ad una «fanatica intolleranza». Intolleranza che è propria degli ebrei in generale: «Oggi il singolo deve constatare con dolore - scrive Hitler - che nel mondo antico, assai più libero del moderno, comparve col cristianesimo il primo terrore spirituale».
Questi pensieri, espressi nel 1923, possono essere meglio compresi alla luce di quanto Hitler ebbe a dire una volta giunto al potere. Per questo risulta indispensabile la lettura delle Conversazioni a tavola di Hitler, da poco ristampato in Italia (dopo ben 50 anni!) dalla Libreria editrice Goriziana. Si tratta dei discorsi tenuti da Hitler con gli invitati che di volta in volta accedevano a lui: furono trascritti a partire dal 5 luglio 1941 per ordine di Martin Bormann, capo della cancelleria del partito e segretario del Führer.
Ebbene, in queste conversazioni a ruota libera, Hitler rivela molto chiaramente il suo pensiero rispetto al cristianesimo, dimostrando che era una delle tematiche che più gli stava a cuore. Nelle quasi 700 pagine in cui discorre di guerra, russi, ebrei, diete, nazismo ecc., i riferimenti al cristianesimo e alla Chiesa cattolica, pur minoritaria all'interno del paese di cui era l'incontrastato leader, sono continui, insistenti e ripetitivi.
Anzitutto Hitler ritiene che il cristianesimo sia una delle manifestazioni della perfidia ebraica: parla quindi esplicitamente di «cristianesimo ebraico». «Il cristianesimo - afferma la notte del 20 febbraio 1942 - costituisce il peggiore del regressi che l'umanità abbia mai potuto subire, ed è stato I'Ebreo, grazie a questa invenzione diabolica, a ricacciarla quindici secoli indietro». Cristo, in verità, per Hitler, non era un ebreo, ma un ariano che «attaccò il capitalismo ebraico» e per questo venne ucciso: «Non è escluso che sua madre fosse ebrea»: ma certo non lo fu il padre.
La «falsificazione della dottrina di Gesù» fu quindi opera dell'ebreo san Paolo: a lui si deve la creazione della religione cristiana, cioè di una forma di bolscevismo ante litteram. Il cristianesimo infatti si è posto alla testa dei più miserabili, degli schiavi, dei malriusciti, con le sue teorie «egualitarie» nate per «conquistare un'enorme massa di gente priva di radici»; «ha mobilitato la feccia», per «organizzare cosi un pre-bolscevismo».
Per Hitler all'equazione ebraismo-cristianesimo, si affianca quella cristianesimo-bolscevismo: l'ebreo Saul e l'ebreo Marx sono i creatori di due ideologie di morte equivalenti tra di loro!
«Il colpo più duro che l'umanità abbia ricevuto - dichiara - è l'avvento del cristianesimo. Il bolscevismo è figlio illegittimo del cristianesimo. L'uno e l'altro sono una invenzione degli Ebrei. È dal cristianesimo che la menzogna cosciente in fatto di religione è stata introdotta nel mondo. Si tratta di una menzogna della stessa natura di quella che pratica il bolscevismo quando pretende di apportare la libertà agli uomini, mentre in realtà vuol far di loro solo degli schiavi». Ancora: «L'Ebreo che fraudolentemente introdusse il cristianesimo nel mondo antico, allo scopo di perderlo, ha oggi riaperto questa breccia prendendo, questa volta, il pretesto della questione sociale. È sempre lo stesso gioco dei bussolotti. Come Saul si è trasformato in s. Paolo, così Mardocheo è diventato Karl Marx».
Come il bolscevismo è oggi causa di morte e di distruzione, così il cristianesimo, afferma Hitler ribadendo quanto già scritto nel Mein Kampf, è fondato sull'intolleranza: «Il cristianesimo è stata la prima religione a sterminare i suoi avversari in nome dell'amore. Il suo segno è l'intolleranza».
La colpa storica della Chiesa cattolica è poi quella di aver fatto crollare l'impero romano, regno dell'arte, della tolleranza e della civiltà. E di averlo sostituito con l'arte barbara delle catacombe, col buio del medio Evo, l'epoca più insignificante della stona umana. Hitler afferma: «Sono sicuro che Nerone non ha mai incendiato Roma. Sono stati i cristiani-bolscevichi». Poi loda Giuliano l'Apostata, e depreca Costantino. Il concetto è sempre lo stesso: i cristiani, figli spirituali dell'ebreo Paolo, sono la causa della caduta dell'Impero e di ogni barbarie degli ultimi 20 secoli.
Ai cristiani Hitler imputa di negare «tutte le gioie dei sensi»; di aver proposto una errata «volontà ecumenica», cioè universalistica e non razzista; di essere «contro la selezione naturale» e quindi di instillare una «ribellione contro la natura, una protesta contro la natura» di proporre un «paradiso insipido», tutto canti e alleluia; di essere una «storia puerile», una «invenzione di cervelli malati», una vera e propria «malattia».
Soprattutto interessante è il fatto che Hitler condivida coi comunisti-bolscevichi (verso cui dichiara il suo odio, e con cui si alleerà per scatenare il secondo conflitto mondiale) due idee. La prima: che il cristianesimo sia contro la scienza e la ragione. La seconda: che sia condannato a sparire col tempo, automaticamente, soffocato dall'affermarsi del nazismo trionfante e liberatore.
Anche Marx aveva creduto lo stesso; anche i bolscevichi spiegavano, in quegli stessi anni, che la Chiesa non avrebbe retto il confronto con la scienza, la modernità ed il progresso, e sarebbe sparita da sola, una volta instaurata la società giusta, perfetta, egualitaria, in una parola, comunista. Senza bisogno di persecuzioni (che invece, poi, ci furono eccome).
Riguardo alla prima idea, Hitler, che riteneva «scientifico» il razzismo, afferma: «la religione è in perpetuo conflitto con lo spirito di ricerca. L'opposizione della Chiesa alla scienza fu talvolta così violenta da sprizzare scintille». Quanto alla seconda idea cui accennavo, la scomparsa automatica del cristianesimo, per manifesta «inferiorità», Hitler dichiara di aver creduto, un tempo, sin dai 14 anni, che la soluzione avrebbe dovuto essere violenta, la «dinamite»: sterminare i preti, le loro menzogne e la loro malvagità.
Poi, col tempo, sostiene di essersi convinto che sia politicamente più produttivo lasciar morire il cristianesimo «a fuoco lento», come effettivamente cercherà di fare sopprimendo le scuole e i giornali confessionali e attuando una persecuzione spesso soprattutto di tipo culturale e ideologico: «A lungo andare, il nazionalsocialismo e la religione non potranno più coesistere... la soluzione ideate sarebbe di lasciar le religioni consumarsi da sé, senza perseguitarle».
Per capire questa prospettiva hitleriana è bene ricordare che Hitler era un uomo molto pragmatico: sapeva che certe operazioni vanno fatte con prudenza e cautela, o addirittura di nascosto, come ad esempio nel caso del programma eutanasico T4. Così più volte rivelava ai suoi collaboratori che l'ora dei conti con la Chiesa e con il cardinal von Galen, il suo più agguerrito avversario, sarebbe arrivata solo alla fine della guerra, per non dividere troppo il paese in un momento difficile. In varie occasioni Hitler frenò addirittura le repressioni contro la Chiesa del suo fidato segretario Bormann, non perché non le condividesse, ma perché temeva «potessero ritorcersi sfavorevolmente sullo stato d'animo del paese in guerra». «Secondo Bormann - scrive il gerarca nazista Albert Speer - un modo per restituire vitalità ed interesse all'ideologia nazionalsocialista era quello di stimolare la lotta contro la Chiesa [...]. Hitler in materia temporeggiava, ma nessuno poteva dubitare che egli intendesse soltanto rinviare il problema ad un momento più favorevole, poiché alla tavola della Cancelleria usava nei confronti della Chiesa parole molto più pesanti e scoperte di quelle che usava all'Obersalzberg, dove la presenza delle signore lo frenava. «Quando avrò risolto tutti gli altri miei problemi - diceva a volte - farò i conti con la chiesa. Allora essa vedrà i sorci verdi» (A. Speer, Memorie del terzo Reich, Mondadori, 1997).
Tornando dunque all'idea di Hitler, della fine prossima del cristianesimo, oltre che dell'ebraismo, il 27 febbraio 1942, mentre i suoi eserciti portano la morte in tutta Europa e milioni di persone vengono uccise nei lager e nei gulag, egli si lancia nei soliti attacchi e sogna un'era di «tolleranza». «La nostra società attuale - afferma con convinzione - è più umana di quanto non lo sia mai stata la Chiesa».
Rimane una domanda: come valutava Hitler l'azione della Chiesa rispetto al nazismo? Non aveva dubbi: «Un male che ci rode sono i nostri preti delle due confessioni. Attualmente non posso dar loro la risposta che si meritano, ma essi non perderanno nulla ad aspettare. Ogni cosa è trascritta nel mio registro. Verrà il momento in cui regolerò i miei conti con loro e non prenderò vie traverse» (8 febbraio 1942); «Ora la principale attività dei preti consiste nel minare la politica nazionalsocialista» (7 aprile 1942); i preti oggi ci insultano e ci combattono, «si pensi per esempio alla collusione tra la Chiesa e gli assassini di Heydrich... Mi è facile immaginare che il vescovo von Galen sappia perfettamente che a guerra finita regolerò fino al centesimo i miei conti con lui» (4 luglio 1942); «Il clero è un rettile... il vescovo Preysing è un rettile... La Chiesa cattolica non ha che un desiderio: la nostra rovina» (11 agosto 1942).
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