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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri
La notizia è questa: una coppia di Toronto ha avuto un terzo figlio e, viste le tendenze degli altri due, ha deciso di non dichiararne il sesso. Anzi, di non farlo sapere nemmeno all'interessato, il quale sceglierà da sé se essere maschio o femmina o altro.
Leggo su BlitzQuotidiano che, stando ai genitori, i «preconcetti» potrebbero «solo turbarlo». Per la cronaca: i due parents si chiamano Kathy e David, il pargolo Storm [nella foto]. Che significa «temporale». Già la scelta del nome è indicativa della fantasia familiare. Ma c'è da capirli, Kathy e David: hanno già due figli, Jazz e Kio (la fantasia al potere!), che hanno avuto l'intempestività di dichiarare maschi. Solo che i due, rispettivamente 5 e 2 anni, mostrano di amare il rosa, le bambole e le gonne di mammà. Così, il terzo farà da sé. I genitori, stufi di stare un apprensione, hanno deciso di far decidere lui, quando sarà «pronto».
D'altra parte, siamo in tempi politicamente corretti di dittatura del relativismo. E ogni dittatura è come Baal, vuole il sacrificio dei neonati («Il cielo, svuotato di Dio, torna a riempirsi di idoli», diceva Gilbert K. Chesterton). Quanti bambini sono stati chiamati Uliano o Adolfo? Ogni dittatura ha i suoi komsomol e hitlerjugend, guardie rosse e pionieri. Oggi la tolleranza per i diversi è diventata, come regolarmente previsto, promozione della diversità. E fosse davvero diversità! Invece è piattume conformistico. Tutti uguali, tutti unisex. E per forza pure.
Ma il povero Storm è stato fregato. Già, perché quel nome non l'ha mica scelto lui. Nemmeno ha scelto i suoi genitori e i suoi fratelli. Non ha nemmeno scelto di nascere in Canada e ai nostri giorni. Forse da grande formerà con i fratelli/sorelle un trio, tipo le nostre Sorelle Bandiera: «Jazz, Storm e Kio», che avrà un avvenire assicurato nei locali per drag-queen. O forse, cresciuto, manderà al diavolo quelli che lo hanno messo al mondo senza prima consultarlo.
L'anno scorso l'American College of Pediatricians (ACP) ha diffuso i risultati di studi che hanno determinato inconfutabilmente che il desiderio dei preadolescenti di essere del sesso opposto è uno stadio del tutto normale e temporaneo. Già, ma i coniugi Stocker forse non leggono questo tipo di studi. Forse guardano solo la televisione. E non sanno nemmeno che proprio un loro connazionale, Marshall McLuhan, raccomandava di «staccare la spina». No, non lo sanno. E figurarsi se conoscono il mito di Achille. Lo ricordiamo ai nostri lettori: Achille era figlio di Peleo e della ninfa Teti, la quale previde come sarebbe morto. Peleo, per sicurezza, affidò il piccolo a un re suo amico che aveva solo figlie femmine e lo pregò di allevarlo come loro. Achille, dunque, crebbe vestito da femmina e tra i giochi femminili. Quando fu ora di reclutare guerrieri per la guerra di Troia, il furbo Ulisse si presentò con un baule di doni. Tutti femminili. Tranne una spada, che era sul fondo. Poi aspettò di vedere quale tra le «fanciulle» sarebbe stata attratta dall'arma. Fu così che scovò Achille.
Morale: «Anche i bambini con un Disordine di Identità di Genere (quando un bambino vorrebbe essere del sesso opposto) perderanno questo desiderio con la pubertà, se il comportamento non viene rafforzato». Così dice l'ACP. Qualcuno spedisca a quei genitori canadesi un'edizione illustrata dell'Iliade. Prima che di loro si impadroniscano i talkshow (perché è a questo che, con tutta evidenza, mirano).