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« Torna agli articoli di Costanza Miriano
C'è una strana sensazione che mi perseguita da giorni, da mesi. E non sapevo darle un nome. Strano perché di solito mi analizzo anche troppo, e mi diagnostico da sola varie turbe delle quali di solito mi dimentico entro poche ore, quando il buon senso sussulta e mi richiama all'ordine, invitandomi a occuparmi di chi mi circonda, soprattutto se appartenente alla mia prole.
Invece in questo indecifrabile stato d'animo mi dibatto da mesi. Precisamente da quando sono cominciate a uscire le recensioni al mio libro, e ho ricevuto messaggi e apprezzamenti fin troppo lusinghieri. (...) A qualche scriteriato è venuto in mente di chiamarmi genio, o addirittura genio cosmico. La sensazione che mi affligge da mesi ha preso corpo. Esattamente è questa: "se sapessero".
Gli apprezzamenti ricevuti sono fuori luogo. Del tutto. Senza appello. Non sono un genio, e va be', su questo non ci piove.
Ma non sono neanche così una bella persona come sembra venire fuori dal mio libro, nel quale mi sono limitata a mettere insieme cose buone che ho ascoltato e che io esattamente come tutti fatico a vivere.
L'unica sapienza di noi cristiani è la croce di Gesù Cristo. Quando ci sbatti il naso, contro la croce, quando ti viene addosso, l'unica cosa che sai è che sei un nulla, una briciola, e che esisti e sei vivo, in ogni istante, per un atto di amore totalmente gratuito e immeritato di Dio. Un Dio che ha sofferto, è morto e risorto per te, indicando così la strada.
Nessuno è buono se non Dio, e se qualcuno (tipo me) lo sembra è solo perché finge bene. Oppure perché piano piano, servendo, riesce ogni tanto a tramortire il drago che gli sta dentro, sta in OGNUNO di noi. Un drago che non è mai morto, fino a che non tiriamo anche noi le cuoia.
Tutto il resto sono chiacchiere, e io sì, su quelle probabilmente sono brava. Posso chiacchierare per ore con chiunque e di qualsiasi argomento.
L'annuncio della Chiesa nei primi tempi era semplicemente questo, come mi ha ricordato qualche giorno fa padre Emidio. La lettura della passione, morte e risurrezione di Cristo. Questo è quello che si chiede a noi cristiani.
Per noi che siamo sposati, uomini e donne, la via della passione e della morte – e anche della risurrezione – è quella della famiglia. Farci carico delle necessità dei figli, accettare, anche dolorosamente, la loro libertà quando crescono, accompagnarli e tutto il resto che si sa. Servire, servire sempre. Fare spazio. Dare così ogni giorno una bottarella a quel drago (il mio ha ripreso pigolo da quando ricevo tutti questi complimenti).
Nella coppia significa accettare le incomprensioni, le piccole delusioni, le ferite, le volte in cui non ci sentiamo valorizzati, capiti davvero, cercando di non cedere alla tentazione di pensare che con un'altra persona sarebbe diverso. Tante coppie cadono in questa illusione e buttano via tutto.
Invece proprio il luogo della tua passione (lui/lei non mi capisce, mi tarpa le ali, non mi valorizza) è esattamente il luogo della risurrezione. Bisogna starci e non c'è altra via per arrivare vivi al sepolcro. (...)
Per capire il volere di Dio i religiosi hanno prima di tutto il voto dell'obbedienza. Anche se un loro superiore sbaglia, loro sanno che obbedendo a lui obbediscono a Dio.
Noi sposati abbiamo il coniuge. E' lui la via che Dio ha scelto per amarci, ed è a lui che dobbiamo cercare di obbedire. Accogliere la sua idea, soprattutto quando è diversa dalla nostra è aprirci all'obbedienza, non mettere da parte Dio. Quando invece lo scansiamo e viviamo secondo il nostro istinto, andiamo dietro all'emotività, scantoniamo dalla via della croce e prendiamo sicuramente una cantonata.
Sia chiaro che per tutti è la stessa fatica. Ma nessuno sfugge, neanche quelle furbette che si proclamano sottomesse, ehm.
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