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Un secolo e mezzo di petrolio alle spalle. Difficile sperare di avere altri centocinquanta anni di greggio davanti a noi, dicono in tanti. Perché il petrolio non è infinito, e prima o poi non ce ne sarà più. L’Agenzia internazionale dell’energia ha previsto che toccheremo il mitico 'picco di Hubbert' – il momento in cui avremo sfruttato metà del petrolio esistente – tra il 2013 e il 2037. Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, è tutt’altro che preoccupato. «Se mai il petrolio dovesse fi¬nire, quel giorno avremo smesso di averne bisogno già da tempo» .
TUTTI INFONDATI GLI ALLARMI SULLA FINE DEL GREG¬GIO?
Quelle sono previsioni che fanno i conti sen¬za l’oste. Difatti se ne fanno da decenni, e so¬no sempre risultate sbagliate. E non solo quelle sul petrolio. Negli Stati Uniti dell’Ottocento avevano previsto la fine del legname. Presto, vedrete, qualcuno parlerà della fi¬ne del gas. Ma è l’approccio che è sbagliato: questi studiosi guardano a quanto petrolio abbiamo oggi a disposizione, poi a quanto ne consumiamo oggi, e ti¬rano le somme. Non tengono conto del fatto che abbiamo molto più petrolio di quanto ne co-nosciamo. Nel pianeta c’è tutto quel greggio che ancora non abbiamo cercato.
C’È COSÌ TANTO ORO NERO ANCORA DA SCOPRIRE?
La domanda che ci dobbiamo fare non è quanto petrolio possiamo ancora trovare, ma quanto siamo disposti a pagarlo. Se siamo pronti a spendere di più, diventano econo¬micamente convenienti modalità di estrazione nuove e più costose. Penso ai giaci¬menti in acque molto profonde o a quelli dalle sabbie bituminose. C’è molto petrolio che potremo sfruttare, se la dinamica di doman¬da e offerta farà salire il prezzo.
DOBBIAMO PREPARARCI A DECENNI DI GREGGIO COSTOSO?
No, non è detto. Intanto perché con le tec¬nologie che abbiamo oggi siamo anche in grado di scovare nuovo petrolio in giacimenti che ritenevamo vicini all’esaurimento. E poi perché sappiamo che nell’area del Medio Orien¬te c’è ancora tantissimo greggio facile da estrarre, e quindi poco costoso. Ma lì ci sono altri problemi.
QUESTIONI POLITICHE?
Sì, perché in Iran o Arabia Saudita, dove si trovano i giacimenti mag¬giori, i governi sono ostili agli investimenti delle compagnie internazionali. L’Iran ha scoperto quattro nuovi grandi giacimenti so¬lo pochi giorni fa, se lasciassero lavorare di più i gruppi occidentali, che hanno tecnolo¬gie di gran lunga migliori, potremmo sfrut¬tare molto di più la ricchezza petrolifera di quell’area. Senza parlare dell’Iraq, dove è dal¬la prima guerra del Golfo che nessuno cerca più greggio.
LE NUOVE TECNICHE DI ESTRAZIONE POTREBBERO MODIFICARE LA 'MAPPA DEL PETROLIO'?
Oggi siamo in grado di andare con le esplo¬razioni verso zone nuove. La maggiore riser¬va di petrolio dalle sabbie bituminose è in Canada, poi c’è l’olio pesante dell’Orinoco, in Venezuela. E anche l’Africa ha un poten¬ziale ancora tutto da sfruttare. Ma una quo¬ta importante del petrolio esistente è anco¬ra nei Paesi dell’Opec, e dobbiamo impara¬re a convivere con questa realtà, dove un car¬tello di Paesi produttori cerca di alzare il prez¬zo del greggio – anche se non ci riesce quasi mai – e ostacola un uso migliore delle sue ri¬sorse.
NON CONVERRÀ CONCENTRARE I NOSTRI SFORZI SULLE FONTI ALTERNATIVE?
Già lo stiamo facendo. Prima con il petrolio facevamo quasi tutto, per l’Italia 20- 30 anni fa il greggio era anche la prima fonte di elet¬tricità. Oggi questa quota è molto ridotta gra¬zie allo sfruttamento del gas naturale. Poi ab¬biamo l’alternativa nucleare e le fonti rinno¬vabili, che però non sono ancora economi-camente convenienti. Ma per i mezzi di tra¬sporto, per muovere le automobili o gli aerei, il petrolio non ha ancora un rivale credibile.
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