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«Nei primi trent'anni della vita della Chiesa, non vi fu che la Tradizione, ovvero la testimonianza e l'insegnamento degli apostoli. La Tradizione cattolica non è altro che l'insegnamento di Gesù tramandato agli Apostoli e da loro ritrasmesso di generazione in generazione». Così afferma il professor Roberto de Mattei nel suo recente libro: Apologia della Tradizione (Lindau, Torino, p. 97), che è un poscritto al discusso testo dello stesso autore, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, vincitore dell'ultima edizione del premio Acqui Storia.
Apologia della Tradizione è però un libro che va oltre. Volutamente s'inserisce nell'attuale dibattito in merito al giusto rapporto tra Tradizione, Magistero e Scrittura.
Si tratta di un dibattito che non dovrebbe esistere, in considerazione del fatto che la dottrina di sempre parla chiaramente di come impostare tale rapporto, nel senso che la Tradizione giudica il Magistero e il Magistero giudica la Scrittura.
Bene fa de Mattei ad affermare: «Essendo il Magistero il potere di insegnamento della Chiesa, esso si distingue dalla Tradizione, perché sulla Tradizione oggettiva si fonda e dalla Tradizione "attiva", che è la Chiesa, dipende. Il Magistero non è la Tradizione, perché la riceve ed è esercitato per garantirla. Se si identificasse con la Tradizione, potrebbe "crearla" o comunque "accrescere" la Rivelazione, invece di limitarsi a riceverla e a trasmetterla» (p. 108).
Ma purtroppo questo dibattito è in atto. Ed è in atto non solo a causa di chi, appoggiando una linea teologica neomodernista, vorrebbe affermare che il Magistero vivente (intendendo per "vivente" la capacità di allinearsi e conformarsi al divenire della storia) sia l'unica Tradizione esistente; ma anche a causa di chi, pur partendo da posizioni conservatrici, vorrebbe difendere qualsiasi intervento magisteriale solo perché magisteriale.
Questi ultimi molto spesso affermano che ci deve essere pur qualcuno che interpreti la Tradizione, ma giustamente de Mattei risponde: «Qualcuno pone la domanda: chi interpreta la Tradizione? La questione è impropria, essendo la Tradizione innanzitutto "regula fidei", ovvero criterio e non oggetto di interpretazione» (p. 109).
L'autore ci tiene ad affermare che lo stesso termine "magistero" non è esistito da sempre, ma «che ha iniziato a diffondersi nel linguaggio teologico solo nel secolo XIX. Il Magistero, infatti, non è un soggetto teologico in sé autonomo, ma un potere o, se si preferisce, una "funzione" della Chiesa. Di fronte al liberalismo, molti teologi vollero rafforzare il ruolo di questo potere, proponendolo come "regola prossima" della fede, quasi potesse riassumere in sé la Chiesa, i Concili e il Papa.
È significativo però che non esiste la voce "Magistero" né nel Dictionnaire Apologétique de la Foi Catholique del padre Adhemar d'Ales (1911-1922), né nel celebre Dictionnaire de Théologie Catholique (1909-1950), e neppure nell'altrettanto nota Enciclopedia Cattolica (1949-1954) promossa da Pio XII» (p. 93).
Riaffermare queste convinzioni, che attengono alla dottrina di sempre del Cattolicesimo, è indispensabile in un contesto come quello attuale dove la dimenticanza dell'autentico rapporto delle fonti della Rivelazione contraddistingue – come già detto – tanto coloro che vogliono demolire la verità cattolica in nome del progressismo quanto coloro che vogliono sì proteggerla, ma evitando volutamente di utilizzare una sana e necessaria difesa della Tradizione.
E invece è proprio l'esistenza e la fedeltà alla Tradizione ciò che contraddistingue la Chiesa Cattolica. Roberto de Mattei così conclude il suo libro: «Una, santa, cattolica e apostolica, la Chiesa cattolica è oggi più che mai romana, perché la romanità non è altro che la sua Tradizione vissuta nello spazio e nel tempo; ed è militante, perché Essa combatte sulla terra, prima di soffrire in Purgatorio e trionfare in Paradiso: formata da militi che, secondo l'insegnamento di san Paolo (1 Cor. 9, 26), fanno della lotta la regola della loro vita terrena. Soldati fedeli della Chiesa militante, vogliamo solo sollevare la bandiera della Tradizione cattolica, di cui siamo anche noi indegni portatori» (p. 151).
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