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« Torna agli articoli di Gianandrea Gaiani
Dall'anarchia post bellica alla frantumazione. La Libia del post Gheddafi sembra ormai entrata in un processo di sfaldamento che ricorda quello della Somalia dopo la caduta del regime di Sia Barre caratterizzato dal distacco del Puntland e del Somaliland e dalla progressive feudalizzazione tribale.
Il 6 marzo tre mila rappresentanti delle tribù e milizie della Cirenaica hanno proclamato l'autonomia della regione da Tripoli auspicando per la Libia un futuro federale ma di fatto proclamando l'indipendenza da un governo nazionale inesistente e non certo rappresentativo. Un colpo mortale inferto al già moribondo Consiglio Nazionale Transitorio nato un anno fa proprio a Bengasi per guidare l'insurrezione contro il regime di Muammar Gheddafi. Il "Congresso del popolo della Cirenaica", riunitosi nella stessa città per proclamare il distacco da Tripoli, è guidato da Ahmed Zubair al-Senussi, pronipote 77 enne dell'ultimo re libico Idris nonché uno dei leader della rivolta contro il Colonnello che lo incarcerò per ben 31 anni.
Il presidente del Cnt, Mustafa Abdel Jalil, per bloccare la secessione della Cirenaica ha minacciato di fare ricorso a una forza che non ha considerato che il Cnt non controlla né un vero esercito né vere forze di polizia e l'intera Libia, incluse le sue frontiere, sono in mano alle milizie delle diverse tribù. Jallil non è riuscito infatti a intimidire al-Senoussi, che ha definito il distacco della Cirenaica "una decisione definitiva e irreversibile. Non accettiamo alcun appello al dialogo volto a cambiare la nostra dichiarazione. Abbiamo scelto un sistema che garantisce che la nostra regione non verrà nuovamente marginalizzata".
La scarsa credibilità della minaccia di Jallil è stata confermata ieri dalle notizie diffuse dall'Algeria circa un imminente proclamazione d'indipendenza anche della regione desertica del Fezzan che potrebbe essere guidata da Abdelmadjid Seif El Nasr, già esponente del Cnt. Di fatto il distacco delle due regioni orientale e meridionale dalla Tripolitania sancirebbe una situazione già esistente che vede la Libia in mano a una settantina di milizie tra le quali le più forti sono quelle di matrice islamista. Anche le elezioni di giugno, già messe in discussione dal caos che regna nel Paese, sembrano ora ancora più traballanti anche se il Cnt non sembra disposto ad accettare lo smembramento del Paese senza combattere.
Il premier libico, Abdel Rahim al-Kib, in visita a Washington dove ha incassato l'apprezzamento della Casa Bianca, ha chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di revocare l'embargo sulle armi imposto l'anno scorso durante la guerra contro Gheddafi per poter "riarmare l'esercito e la polizia e consentire di svolgere i propri compiti". Sempre oggi il capo di Stato maggiore libico, Youssef Ahmed el Mankush, ha incontrato al Cairo il capo del Consiglio militare egiziano, Hussein Tantawi, per discutere della "sicurezza delle frontiere" e degli sforzi per "rafforzare l'unità del popolo libico". In pratica ha chiesto all'Egitto assistenza militare.
Lo sfaldamento del Paese e i molteplici e divergenti interessi dei gruppi islamisti e dei Paesi confinanti rischiano di costituire un altro aspetto che accomuna la Libia alla Somalia con la differenza non irrilevante, specie per Italia ed Europa, che la Libia si trova nel centro del Mediterraneo. Anche in Tripolitania poi tira aria di autonomia, questa volta su scala locale. Alcune milizie si sono dette pronte a restituire al governo il controllo delle infrastrutture strategiche, in primis l'aeroporto della capitale. "Non vogliamo essere di ostacolo nel processo di affermazione dello Stato", ha detto Khaled Kar, portavoce delle milizie di Zintan, secondo il quale le forze militari del governo "non hanno la capacità di fronteggiare assalti e combattimenti". I soldati di Zintan, in ogni caso, sottolineano di non volersi integrare con il governo "perché è composto da personalità e forze del vecchio regime".
Il cocktail di aspirazioni secessioniste e autonomiste è reso ancora più esplosivo dal ruolo della Libia in supporto all'insurrezione siriana. L'ambasciatore russo al Palazzo di Vetro, Vitaly Churkin, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu dedicata alla crisi siriana ha accusato il Cnt di ospitare campi d'addestramento militare per i rivoltosi siriani che combattono il regime di Assad. Al-Kib ha respinto le accuse russe replicando da Washington di "non essere a conoscenza" di alcuna struttura del genere ma in realtà la sua smentita vale ben poco poiché il Cnt non ha il controllo del territorio e alcune milizie islamiche sostenute dal Qatar hanno già inviato in Turchia almeno 600 combattenti impegnati negli scontri in Siria.
L'aspetto più curioso degli sviluppi catastrofici della situazione libica è rappresentato dall'apparente disinteresse dell'Occidente (distratto forse dalla Siria o dai problemi finanziari) nei confronti del futuro della Libia. Il gruppo di Paesi noto come "Amici della Libia", costituitosi durante la lotta a Gheddafi, non sembra avere nessuna voglia di venire coinvolto nel caos di un Paese allo sbando nonostante la destabilizzazione a Tripoli e dintorni finirà per colpire anche noi specie se prenderanno il sopravvento le forze islamiste e jihadiste. Vale poi la pena ricordare che undici mesi or sono, quando la Nato iniziò a bombardare la Libia, l'Unione Africana ammonì gli alleati avvertendo che la caduta di Gheddafi avrebbe portato alla nascita di una "nuova" Somalia sulle sponde del Mediterraneo.
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