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« Torna agli articoli di Benedetta Frigerio

La Croazia ha approvato la legge che il vicepresidente dell’Unione democratica croata, Damir Jelic, ha definito una «delle maggiori tragedie del popolo croato», pari alle «tragedie umane dell’Olocausto e dei crimini del regime comunista». È la legge sulla fecondazione assistita. Quella che anche in Italia, secondo le ultime stime del ministero della Salute, sacrifica la vita di nove embrioni su dieci fecondati in laboratorio.
La norma, passata venerdì scorso con 88 voti favorevoli su 151, è stata votata da tutta la sinistra contro l’opposizione di centrodestra. Come in Italia, anche in Croazia sarà ammessa la fecondazione omologa tra conviventi. Per questo la Conferenza episcopale croata, sulla scia del Papa che l’aveva visitata lo scorso giugno, ha parlato di una «legge profondamente immorale e disumana, perché apre la porta alla dissoluzione dei valori fondamentali del matrimonio e della famiglia». La norma croata, però, ammette anche un’eccezione all’utilizzo dei gameti nella coppia, permettendo l’utilizzo di semi o di ovuli di donatori nel caso in cui si voglia evitare la possibilità di trasmettere ai figli malattie genetiche. La legge mette un tetto, simile a quello poi abolito dalla Corte Costituzionale italiana con una sentenza del 2009. In Croazia si potranno congelare fino a 12 embrioni. Infine, si impone di rivelare ai nati in provetta la loro origine biologica nel caso di donazione.
Per l’opposizione e per la Conferenza episcopale non ci sono tetti o limiti che tengano. La fecondazione, oltre a scardinare i legami familiari e l’unione matrimoniale, secondo i vescovi «costituisce con la crioconservazione una condanna degli embrioni». La crioconservazione «non garantisce nessun diritto alla vita, ma nella maggioranza dei casi costituisce una condanna a morte». Sotto accusa anche l’idea secondo cui la fecondazione risponde a problemi di infertilità. Perché non ne rimuove le cause, invece legate alla contraccezione, alle cattive abitudini di vita come l’abuso di alcool e fumo e all’innalzarsi dell’età in cui le donne provano a concepire un figlio. «La legge non mira a risolvere i problemi – continua la Conferenza episcopale – non tutela il matrimonio né la famiglia». Anzi, «tende a favorire gli interessi economico finanziari delle case farmaceutiche, delle cliniche e degli operatori sanitari coinvolti».
Vista la gravità della situazione i vescovi hanno infine chiesto, oltre al rifiuto di partecipare direttamente o indirettamente alla fecondazione in vitro, «preghiera, digiuno e penitenza a tutela della vita, del matrimonio e dei valori della famiglia».
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