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« Torna agli articoli di Costanza Miriano
Se non me lo avessero impedito il mio primo libro lo avrei intitolato Da che pulpito, tanto sono consapevole del fatto che non è necessario essere irreprensibili per dire come la si pensa sul mondo. Siamo tutti poveri peccatori in cammino, è chiaro.
Ma che sia il Corrierone della Sera a fare prediche sulla famiglia, be' questo mi suona davvero strano. Mettere in discussione la famiglia tradizionale sembra ormai parte del core business anche dell'ammiraglia dei quotidiani, e allora quando sabato 6 ottobre ho letto il paginone "I grandi siamo noi (dimenticarlo costa caro)" veramente il "da che pulpito" mi è sgorgato dal cuore.
Il pezzo descrive quello che tutti noi vediamo, bambini che contrattano le regole con i genitori, che decidono la meta delle vacanze familiari, e che per questo sono considerati "avanti" da genitori sempre più insicuri e fragili. "Sono più di venti anni che assistiamo a questo ribaltamento dei ruoli" dicono in coro i vari psicoesperti consultati.
Sulla foto siamo tutti d'accordo. È una fotografia, appunto. È sulla ricetta che l'articolo è carente: si limita a un generico invito a riprendere autorevolezza, o a farsi aiutare da un esperto.
A me sembra che quello che sta succedendo sia semplicemente l'epilogo naturale di una cultura che ha eliminato il padre, incarnazione della regola (e infatti la giornalista chiama rigorosamente "genitore", mai "padre", quello che a volte deve anche saper battere i pugni sul tavolo), che ha incoraggiato in tutti i modi la dissoluzione della famiglia, luogo in cui le regole vengono condivise, compensate, bilanciate (se si passa da una casa all'altra di genitori separati ognuno fa come crede, e non è scontato che la linea sia la stessa), che ha tolto soprattutto di mezzo Dio, l'unico orizzonte alto e assoluto sul quale appoggiare le regole.
Colgo l'occasione per dire che non scriverò mai un libro sui figli, come da più parti mi invitano a fare, perché credo che avrò una vaga percezione del lavoro svolto solo sul letto di morte (e, ragazzi, che sia chiaro: io continuerò a farvi prediche anche dopo, quando avrete cinquanta anni,affacciandomi dalle nuvole quando vi pulirete il moccio con la manica della felpa, dal frigo quando mangerete fuori orario, dalla mensola dei fumetti per cercare di indurvi a leggere piuttosto un bel romanzone russo). Ho fatto un numero incalcolabile di errori educativi, e se pubblicassi un libro lo dovrei certo ritirare presto dal mercato quando un mio figlio venisse sospeso dalla scuola per avere cosparso di marmellata la maniglia della porta di scuola, o introdotto un lombrico nel panino del compagno di banco (la hybris di una madre che vuole insegnare alle altre verrebbe senza dubbio punita).
Rimane il discorso che i genitori di oggi vanno alla cieca con i figli perché vanno alla cieca anche con se stessi. Se si cerca, e sottolineo mille volte cerca, di guardare ai dieci comandamenti e al Vangelo e alla vita eterna come obiettivo è forse possibile sbagliare un po' meno. È l'unica speranza di imbroccare la direzione giusta. Se si pensa che ogni opinione e posizione sulla faccia della terra abbiano diritto di cittadinanza, e che i figli vadano lasciati liberi di esprimere le proprie potenzialità, è più difficile mantenere la bussola nelle circa seicento volte al giorno che bisogna prendere microdecisioni con i figli. Se c'è una famiglia solida e unita, che, con tutte le magagne possibili, ce la mette tutta a fare del suo meglio, è ipotizzabile riuscire a fare qualcosa di decente. [...]
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