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Il 20 aprile 2013 tutti i riflettori sono puntati su Montecitorio e sull'imminente e inedita rielezione del Presidente della Repubblica in carica. Pochi sanno che lo stesso giorno, a Bari, si svolge il festival di un'altra Repubblica, quella di Scalfari e della sua nutrita schiera di intellettuali laicisti. Tra i partecipanti figura anche Enzo Bianchi, il noto priore di Bose, araldo del dialogo tanto generoso quanto arrendevole col "mondo".
A lui e al filosofo anti-cattolico Umberto Galimberti è affidata la riflessione sul tema Il nostro bisogno di verità. Un bisogno saziato con indigesti bocconi nichilisti da Galimberti (il che rientra nel copione) e con non meno ostiche e verbose dissertazioni di Bianchi. Si parla di morte e di senso della vita, delle «grandi domande», che la modernità illuminista vuole rigorosamente mantenere tali, senza risposte certe.
Il priore sta al gioco, sacrificando in nome del dialogo le basi stesse del cristianesimo e fa sapere al pubblico che c'è una «evoluzione del mondo della fede» e che oggi la «teologia classica» ha delle risposte interessanti alle domande esistenziali. La prima: «La fede non sta nel piano della conoscenza, la fede sta sul piano delle convinzioni» perché «il cristiano non ha certezze» e «chi crede, non è che sa. Non è che conosce. Chi crede è convinto, ha una convinzione dentro di sé»; inutile negare la forte carica relativista di un simile messaggio, un modo contorto e pasticciato di distinguere tra "scienza e fede" che finisce col fare torto alla tradizione cristiana, la quale ha sempre insegnato che «l'assenso della fede non è affatto un cieco moto dello spirito» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 156).
Seconda: la Chiesa «in un primo tempo» ha insistito sul peccato originale come spiegazione del male, ma, ci informa l'aggiornatissimo monaco, «oggi la Chiesa non è più su queste posizioni. La Chiesa non legge più il peccato originale nella preistoria degli uomini, questo davvero ormai è una sciocchezza. Più nessuno osa dire questo». Si osa invece dire che «il peccato sta nelle fibre di ogni uomo che viene al mondo. Se volete quella incapacità a operare sempre bene. Il male a un certo punto entra in noi. Quando noi abbiamo incominciato a essere cattivi? Chi è che lo può dire? a un certo punto abbiamo notato che il nostro operare era il male. E su questo la Chiesa non dà risposte». Invece sì: basta rispolverare il Catechismo del 1992 per apprendere che la dottrina di San Paolo sul peccato di Adamo trasmesso a ogni uomo è come «"il rovescio" della Buona Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo. La Chiesa, che ha il senso di Cristo, ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo» (CCC, n. 389).
E gli scoop proseguono: la caduta degli angeli buoni «non fa parte del Credo, della teologia della Chiesa» (cfr. invece CCC, n. 391); la fede in Dio «dipende da Dio, se lui ci dà questo dono o no» (tradotto: se sei ateo, tranquillo, vuol dire che la fede non fa per te); «è più importante la coscienza che ogni autorità teologica, dogmatica ed ecclesiale».
Ci domandiamo cosa debba ancora accadere perché le autorità della Chiesa si decidano a lanciare almeno un richiamo formale al troppo disinvolto priore di Bose, il quale, paradossalmente, riesce perfino a "rubare lavoro" al Sant'Uffizio. Il 12 maggio 2012 a Caravaggio si era scagliato contro «certi movimenti» troppo affezionati alla parola «destino» e così ha concluso: «Mi domando perché nessuno li corregge». Testuale.
DOSSIER "ENZO BIANCHI"
L'eretico priore di Bose
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