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La bici come nascondiglio, la gambe come motore. Poi via, pedalando a più non posso verso Genova, Perugia o Assisi. Così, partendo dalla sua Firenze e fingendosi in allenamento, in una sorta di cilindro montato sulla canna della bicicletta e simile a una pompa per tubolari, Gino Bartali negli anni dell'occupazione nazista trasportava false carte d'identità e altri documenti clandestini prima alla Certosa di Lucca e poi ad Assisi, dove i frati li smistavano per salvare gli ebrei dalla deportazione. Si parla di almeno 800 persone, tanto che lo Yad Vashem, il sacrario della Memoria di Gerusalemme, ieri lo ha dichiarato «Giusto tra le nazioni». Una notizia non inattesa – se ne parlava da tempo – ma ieri final-mente ufficializzata dal sito Internet dell'istituzione israeliana. Lo Yad Vashem spiega che il campione di ciclismo, «cattolico devoto, ha fatto parte di una rete di salvataggio i cui leader sono stati il rabbino di Firenze Nathan Cassuto e l'arcivescovo della città cardinale Elia Dalla Costa. Questa rete ebraico-cristiana, messa in piedi a seguito dell'occupazione tedesca e all'avvio della deportazione degli ebrei, ha salvato centinaia di ebrei locali ed ebrei rifugiati». Bartali ha agito «come corriere della rete, nascondendo falsi documenti e carte nella sua bicicletta e trasportandoli attraverso le città, tutto con la scusa che si stava allenando. Quando veniva fermato chiedeva che la sua bicicletta non venisse toccata perché... le diverse parti erano calibrate attentamente per raggiungere la massima velocità... Pur a conoscenza dei rischi che la sua vita correva per aiutare gli ebrei, Bartali ha trasferito falsi documenti a vari contatti e tra questi il rabbino Cassuto». Ma tra il 1943 e il '44 Bartali collaborò anche con Giorgio Nissim, ragioniere ebreo di Pisa, con il quale costruì una rete clandestina tra Genova e Firenze, evitando controlli accurati sulla bici grazie anche alla sua notorietà. «È una cosa magnifica – ha commentato Andrea Bartali, figlio del grande 'Ginettaccio' –. Aspettavamo questa notizia già da qualche tempo, soprattutto dopo che un mese fa è stato dichiarato 'Giusto tra le nazioni' il cardinale Dalla Costa». Altro motivo di soddisfazione, in attesa della cerimonia che si terrà in Italia in data da stabilire, il fatto che la famiglia sia già stata invitata ad ottobre a Gerusalemme per una gran fondo di ciclismo dedicata al campione. «Nella bici di Bartali le carte della libertà per gli ebrei perseguitati: pure oggi le bici a Firenze siano strumento di fraternità e pace», ha commentato il cardinale Giuseppe Betori facendo riferimento ai Mondiali di ciclismo in corso a Firenze. Parlando di Bartali, Betori ha aggiunto: «Uomo di fede profonda, militante nell'Azione Cattolica e terziario carmelitano, il suo nome verrà ora scolpito accanto a quello del cardinale Elia Dalla Costa con il quale contribuì a salvare decine di ebrei dalla deportazione». [...]
Eppure il grande campione è sempre stato restio a parlare di questa sua attività a favore degli ebrei, preferiva parlare della sua militanza nell'Azione cattolica ricordando l'iscrizione a 10 anni e vantandosi del distintivo che ha portato fino alla fine dei suoi giorni, il 5 maggio del Duemila all'età di 86 anni. Così come per il suo funerale non volle indossare la maglia gialla e nemmeno quella rosa, bensì il saio carmelitano. «Per la sua ultima 'corsa' Gino Bartali ha scelto il segno del suo attaccamento alla fede, anziché il segno delle sue vittorie in bicicletta», disse il cardinale Silvano Piovanelli celebrando la messa nella chiesa di San Piero in Palco, in quella piazza Elia Dalla Costa (guarda caso, proprio l'amico cardinale che aveva celebrato le sue nozze e che gli aveva chiesto di rischiare per salvare gli ebrei) dove Bartali abitava da anni e dove, all'interno della propria abitazione, aveva fatto costruire una cappellina in ricordo del fratello minore, anche lui ciclista, morto in un incidente di bicicletta il 14 giugno 1936.
Nella cappella il grande campione si ritirava spesso in preghiera e ogni tanto ci faceva celebrare la messa. A i tempi delle gare gli avversari lo chiamavano Gino «il pio», ma anche «l'assassino», lo apostrofavano così per la sua militanza nell'Azione cattolica e per i continui scatti in salita che spezzavano le gambe ai compagni di fuga. Tra l'altro il campione ricordava volentieri come una delle sue vittorie più belle nel famoso Tour de France del 1948 fosse stata quella di Lourdes. Ma il santuario per Bartali più importante era il Ghisallo, celebre salita del comasco: «Ci passai già nel '35 quando arrivai secondo al Giro di Lombardia – raccontava scavando nei ricordi il 'brontolone dal grande cuore' –. Al Ghisallo sono sempre rimasto fedele. La Madonnina l'abbiamo fatta dedicare ai ciclisti da Pio XII; si fece una staffetta da Roma con la fiaccola accesa dal Papa. Coppi la portò ai piedi del Ghisallo, io fino alla cima».
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