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« Torna agli articoli di Danilo Quinto

Può un paese esercitare la sua sovranità? E' questo il primo tema di rilievo che pone l'esito del referendum tenuto in Svizzera sull'immigrazione. L'iniziativa, promossa dal partito Udc/Svp, chiede la reintroduzione di tetti massimi per l'immigrazione di stranieri, la cui presenza nel paese supera il 23% della popolazione. I sì hanno vinto con 1.463.954 voti favorevoli (il 50,3%), contro 1.444.438 voti contrari.
A schierarsi a favore un totale di 17 cantoni – quelli in cui si parla tedesco e italiano e delle zone rurali – con la più alta percentuale di sì (68,17%). Nove i cantoni contrari. In ragione di una campagna che ha sottolineato le conseguenze dell'immigrazione fuori controllo – disoccupazione in aumento, treni sovraffollati, aumento degli affitti – e il saldo migratorio di circa 77mila persone l'anno, il 70% dei quali provenienti dalla Ue, sono stati sconfitti il governo, il parlamento, le organizzazioni economiche e sindacali, la maggior parte dei partiti.
In Svizzera, a differenza dell'Italia, il referendum è una cosa seria ed il suo risultato è vincolante per il governo – nonostante il pensiero espresso dal nostro Ministro per l'Integrazione, Cécile Kyenge, per la quale «sarebbe un gravissimo errore farlo applicare» – che dovrà ora rinegoziare i trattati e gli accordi con l'Europa, compreso quello sulla libera circolazione delle persone del 2002.
L'Unione europea ha comunicato il suo «rammarico» per il fatto che «un'iniziativa per l'introduzione di limiti quantitativi all'immigrazione sia stata approvata» ed ha minacciato: «Questo va contro il principio della libera circolazione delle persone tra l'Ue e la Svizzera. La commissione europea esaminerà le implicazioni del referendum sul complesso delle relazioni con la Svizzera». Il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, ha rincarato la dose: «I trattati devono essere rispettati. La Svizzera trae vantaggi dal mercato internazionale, la libertà di movimento è cruciale. Le reazioni nazionali devono essere pacate». Il Ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, si è detta preoccupata dell'«impatto» del referendum, «sia per quanto riguarda l'Italia, sia per gli altri accordi con la Ue».
Queste dichiarazioni nascondono il vero timore: che i popoli europei, nelle elezioni del prossimo mese di maggio, si esprimano contro le politiche dell'Unione europea, sia quelle che riguardano l'euro, sia quelle che derivano dal fenomeno migratorio. Anche i lavoratori cosiddetti "frontalieri" – rispetto ai quali il referendum svizzero interviene e che si dovrà trovare il modo di tutelare – non sono frutto del caso, ma dell'incapacità del nostro Stato, sottomesso alle politiche europee, di assicurare il lavoro e di fare impresa. Il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, ha sottolineato: «ci sono Paesi che rischiano di dover fronteggiare in totale solitudine flussi di persone provenienti dai paesi stranieri, ma anche comunitari, ai quali va data una risposta europea prima che nazionale».
Il problema è proprio questo: l'inerzia e l'incapacità di affrontare la vera questione che pone l'immigrazione indiscriminata. Nella sola Svizzera, secondo le stime ufficiali, sarebbero 500mila gli immigrati musulmani, su una popolazione che conta 8 milioni di persone. L'Europa scristianizzata che "accoglie" e "integra" è la stessa Europa che per secoli, al pari dei musulmani sunniti – che ne avevano ben donde – ha mitizzato e venerato, come se fosse un cavaliere magnanimo e forse anche convertito al cristianesimo, la figura di Saladino, feroce guerriero e capo politico, che a suo maggior titolo di gloria (per i musulmani) annovera la presa della città santa di Gerusalemme nel 1187.
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