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L'ISPIRAZIONE DIVINA DI COSTANTINO: IN HOC SIGNO VINCES
L'arco trionfale eretto a Roma ricorda l'evento prodigioso che nel 312 portò la vittoria all'imperatore contro il rivale Massenzio
di Alfredo Valvo

L'arco trionfale eretto a Roma in occasione dei dieci anni di regno dell'imperatore Costantino (315) contiene nella parte superiore dell'edificio, su entrambi i lati, un'iscrizione celebrativa ufficiale nella quale si legge che la vittoria di Costantino è da attribuire all'ispirazione della divinità (il testo latino è instinctu divinitatis) e alla grandezza del suo ingegno (mentis magnitudine).
La difficoltà di interpretare correttamente il testo dell'iscrizione, il documento "più ufficiale" di tutti, è dovuta a più di una ragione. L'estensore del testo - solitamente questi documenti uscivano dalla cancelleria imperiale o erano stesi o approvati dall'imperatore stesso - presenta due caratteristiche facilmente riconoscibili: il ricorso a termini latini che traducono un'espressione greca (mentis magnitudo è la traduzione del greco megalopsychia: grandezza d'animo, generosità, ampiezza di vedute, che tuttavia non si addice al contenuto del resto dell'iscrizione, dove predomina il tema della vendetta, sebbene legittima, portata a termine con le armi) e la somiglianza del testo con l'inizio di un'altra iscrizione famosa e altrettanto "ufficiale": le imprese del "divino" Augusto raccontate da lui stesso (Res Gestae I 1). Pare evidente che a Costantino premesse ribadire la legittimità del suo potere attraverso il legame ideale che lo avvicinava al fondatore dell'impero.

L'INTERVENTO DIVINO NELLA VITTORIA SU MASSENZIO
Tutto questo andava nella direzione di una continuità con gli avvenimenti del 312, quando Costantino aveva sconfitto Massenzio (28 ottobre) grazie ad un intervento divino, che nessuno negò e che la fonte principale sulla vita di Costantino, Eusebio di Cesarea, aveva diffuso, corredandolo di numerosi particolari. Tra questi è rilevante quanto è narrato nella Vita di Costantino scritta da Eusebio (I 27 sg.): «Costantino comprese quanto fosse folle vagheggiare dei inesistenti e [...] si convinse che fosse necessario venerare solo il Dio di suo padre. Così prese a invocarlo nella preghiera, chiamandolo in soccorso [...] e mentre l'imperatore formulava queste invocazioni e pregava con fervore, gli si palesò un segno divino assolutamente straordinario, tale che non ci si crederebbe facilmente qualora fosse stato raccontato da altri, ma fu lo stesso imperatore vittorioso, tempo dopo, a riferire l'episodio, confermandolo con giuramenti».
La narrazione del prodigio solare più estesa è ancora di Eusebio (Vita di Costantino, I 28-31): «Intorno all'ora meridiana, quando il giorno comincia a declinare, [Costantino] riferì di aver visto con i propri occhi in mezzo al cielo un trofeo luminoso a forma di croce che sovrastava il sole, e accanto ad esso una scritta che diceva: "vinci con questo!". Di fronte a quello spettacolo uno sbigottimento generale pervase l'imperatore e tutto l'esercito, che l'aveva seguito nei suoi spostamenti e fu spettatore del prodigio. [...] Mentre rifletteva e ponderava a lungo su ciò che era avvenuto; calò rapidamente la notte. Allora in sogno gli si mostrò Cristo, figlio di Dio, con il segno che era apparso nel cielo e gli ordinò di costruire un oggetto a immagine del simbolo che si era palesato in cielo e di servirsene come protezione nei combattimenti contro i nemici»; si trattava del cosiddetto chrismòn, le prime due lettere in lingua greca del nome "Cristo" unite fra loro: XP. Costantino le fece incidere sul proprio elmo e tutti i soldati e gli ufficiali fecero lo stesso.
 
ALLA RICERCA DEL VERO DIO
Il padre di Costantino, Costanzo, venerava una divinità solare vaga e sconosciuta; egli, come il figlio, cercava una divinità più forte degli dei inesistenti alla quale affidare le sorti di Roma e le proprie. Dal racconto di Eusebio emerge l'incertezza di Costantino di fronte alla visione, della quale erano stati testimoni oculari anche i soldati ma che fu narrata nei particolari, come si è detto, dallo stesso imperatore. Nessuno avrebbe potuto negare quell'evento che, tra l'altro, ridimensionava, a favore della divinità sconosciuta, la parte avuta da Costantino nella vittoria contro Massenzio.
C'è da domandarsi a questo punto, ripensando all'espressione instinctu divinitatis dell'iscrizione dell'arco trionfale, se la divinità che ispirò Costantino e ne favorì la vittoria gli era ancora sconosciuta o se invece egli ne aveva una conoscenza più profonda, come lascerebbero pensare la coscienza del prodigio, la vicinanza di Eusebio di Cesarea e la presenza presso di lui del vescovo Osio di Cordoba, influente consigliere. La divinità della quale parla l'iscrizione dell'arco di Costantino è probabilmente lasciata nell'incertezza volutamente. Sappiamo che Costantino ricevette il battesimo al termine della sua vita, ma la sua vigorosa preghiera e il riconoscimento dell'aiuto prestatogli direttamente da una divinità facilmente riconoscibile sia dal nome sia dal simbolo della croce fanno pensare che, dopo l'evento prodigioso, la conversione di Costantino, forse manifestata inizialmente soltanto con l'abbandono delle divinità pagane e col gesto plateale di non rivolgere il ringraziamento a Giove Ottimo Massimo dopo la vittoria di Ponte Milvio, seguendo la tradizione secolare dei generali romani vittoriosi, fosse un fatto ormai compiuto.

COSTRETTO A RIMANERE NEL VAGO
La scelta di Costantino, che potrebbe essere presa come momento immediatamente successivo alla scelta e quindi alla sua conversione, è fortemente sottolineata dal Panegirico del 313, scritto da un autore pagano che ignora gli dei "ufficiali" della Roma pagana. Costantino era costretto a rimanere nel vago per non turbare la pace raggiunta con difficoltà e dopo molti anni di guerre e di persecuzioni; anche se l'intento di Costantino fosse stato un altro, il pericolo di rinnovare un conflitto religioso fra cristiani e pagani confessando apertamente il Dio dei cristiani poteva creare nuove tensioni all'interno dell'impero, soprattutto nelle città, come Alessandria, dove la presenza dei cristiani era più consistente e i membri della comunità cristiana assai irrequieti. Nell'impero coesistevano molte religioni, alcune antiche e pericolosamente attive, come il Giudaismo. L'editto di Milano, che riconosceva la libertà di culto ai fedeli di tutte le religioni, non poteva essere smentito, se si può dir così, da un documento ufficiale che privilegiava implicitamente la religione cristiana. La divinità "misteriosa" poteva identificarsi con una qualsiasi delle religioni e l'autore del Panegirico ricordato sopra afferma che quella divinità ha tanti nomi quante sono le genti e che non è possibile sapere come essa stessa voglia essere chiamata. Un'altra buona ragione che dovette giocare un ruolo importante nella scelta di Costantino in numerose circostanze fu l'attaccamento alle divinità pagane degli esponenti della nobiltà romana. Costantino tenne un atteggiamento di rispetto nei confronti della vecchia nobiltà romana, nelle cui mani lasciava il governo di buona parte dell'amministrazione centrale. Per questa esigenza di mantenere in equilibrio lo stato di cose seguito agli eventi del 312 e 313, Costantino lasciò che ciascuno, leggendo instinctu divinitatis, vi scorgesse un riconoscimento della propria fede.

 
Titolo originale: L'ispirazione divina di Costantino
Fonte: Il Timone, dicembre 2014