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Sul palco che incornicia una veduta limpida del Campidoglio americano, una ventina di donne stava da ore in piedi in semicerchio attorno a un podio. Avevano età diverse, diverso colore della pelle. Ma con la stessa determinazione reggevano un cartello che a grandi caratteri proclamava: «Mi sono pentita del mio aborto».
La trentasettesima marcia per la vita a Washington era giunta da poco ai piedi del palcoscenico, dopo essere partita in anticipo sull’orario. I gruppi di giovani raccolti lungo Constitution avenue erano già folti alle 10 di mattina e avevano avuto fretta di mettersi in movimento verso The Hill, “la collina” sulla quale svetta il Congresso americano, e dove è in bilico una legge di riforma sanitaria che potrebbe introdurre forme di finanziamento pubblico per l’aborto. «Eppure il 75 per cento degli americani si oppongono ad usare i soldi dei cittadini per pagare un’interruzione di gravidanza», spiegava Stephen Phelan dell’associazione Human Life International, citando una ricerca dell’Università di Quinnipiac.
Il numero che rimbalzava di bocca in bocca ieri nel “Mall”, la grande spianata al centro della capitale americana, era un altro: cinquantuno. Per la prima volta dal giorno della sentenza Roe contro Wade, con la quale la Corte suprema americana ha legalizzato l’aborto nel 1973, negli Stati Uniti il 51% della popolazione è contraria all’aborto.
«È un segnale chiaro che i nostri sforzi non sono stati vani, che vinceremo la causa della vita, che il dibattito si è riaperto», ha esclamato il deputato repubblicano dell’Arkansas Todd Akin. «Questa è la mia decima marcia per la vita, e finalmente posso dire di essere orgoglioso di vivere in un Paese dove la maggioranza rifiuta l’uccisione di vite innocenti». A suscitare il continuo entusiasmo dei partecipanti (300mila secondo gli organizzatori) era anche un monitor con una cifra che continuava a salire rapidamente, 71mila, poi 72mila, fino a 75mila. Era il numero dei partecipanti della marcia virtuale che per la prima volta era stata organizzata su Internet per coloro che non sono potuti andare a Washington. Una novità di quest’anno, che permetteva di creare un proprio alter ego animato e di vederlo muoversi lungo le vie della capitale verso la Corte suprema. È lì infatti, la tappa finale della marcia, che i manifestanti sperano che venga il cambiamento sotto forma di una sentenza che ribalti Roe contro Wade. «È quasi impossibile sopravvalutare quanto si sia trasformato lo scenario politico nei confronti del rispetto della vita negli ultimi mesi», diceva Karen Cross, direttore politico del Comitato National Right to Life. Ma il movimento per la vita non è convenuto a Washington solo per dire no all’aborto. Nell’agenda c’è anche la difesa della vita al suo termine, come ha ricordato Bobby Schindler, fratello di Terry Schiavo, la donna rimasta in stato vegetativo per oltre 10 anni prima che la rimozione del tubo che l’alimentava ne provocasse la morte nel marzo 2005. Un’altra novità della marcia per la vita 2010 è stata la veglia davanti alla Casa Bianca dove tremila persone, tutte quelle che avevano ricevuto l’autorizzazione della polizia, si sono riunite pacificamente in serata per pregare e cantare. «Preghiamo e digiuniamo per te, presidente Obama – recitavano i cartelli che sostenevano – perché tu capisca che l’aborto è violenza verso i più indifesi». Se infatti George W. Bush ha sempre chiamato i leader del movimento per la vita per esprimere la solidarietà, il gruppo non si aspettava una telefonata da Obama.
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