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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri
Come sappiamo dal Vangelo, Gesù prima di morire in croce affidò la Madonna al discepolo Giovanni, l'unico che non era scappato. A giustificazione degli altri discepoli va detto che Giovanni, probabilmente, con la sua azienda di pesca era regolare fornitore della casa del Sommo Sacerdote, il quale lo conosceva (infatti, Giovanni fu ammesso all'interrogatorio di Gesù e, grazie al suo passi, fece entrare anche Pietro). Insomma, era relativamente al riparo dall'ira del Sinedrio. A quel tempo una vedova senza risorse non aveva prospettive e Maria era ormai sola al mondo; madre, per giunta, di un giustiziato. Giovanni, poi, era non solo il discepolo "migliore" di Gesù ma, essendo il più giovane di tutti, sarebbe rimasto con lei più a lungo. D'altra parte, sappiamo che gli altri Apostoli morirono tutti di morte violenta. Tutti tranne lui. Un'altra vedova al posto di Maria, vedendo agonizzare l'unico figlio, magari avrebbe pensato: adesso che sarà di me? Ed è singolare - se non misterioso - che Gesù abbia atteso quasi fino al momento di spirare per provvedere al futuro di sua Madre.
PERCHÉ PROPRIO A EFESO?
Bene, Maria seguì da quel momento Giovanni e questo, dopo varie peripezie, andò a stabilirsi a Efeso, portandosela dietro. Perché proprio a Efeso? Perché le persecuzioni sinedrite avevano fatto scappare tutti i "nazareni" da Gerusalemme e a Efeso c'era una loro folta comunità. Efeso, per giunta, era una città molto grande e trafficata. Più facile, dunque, passare inosservati.
Non solo, a Efeso, capoluogo della provincia d'Asia, la protezione romana era più sicura che nella turbolenta Gerusalemme. Efeso era una delle più splendide e ricche metropoli dell'impero romano e il suo porto era importantissimo. Paolo, dicono gli Atti (19,1 ss.) fu ad Efeso negli anni 52-55 e trovò subito materiale da evangelizzare. Qui vi erano dodici ebrei già discepoli di Giovanni il Battista e da lui battezzati. Il battista aveva additato Gesù come Messia e loro gli avevano creduto. Paolo, dunque li ri-battezzò col battesimo di Cristo e quelli, ricevuto lo Spirito, si misero a parlare in lingue e a profetizzare. La predicazione del Battista aveva avuto molti seguaci nella diaspora ebraica, specialmente fra quegli ebrei di Alessandria i cui intellettuali cercavano una conciliazione tra la Scrittura e la filosofia greca.
Uno di questi era Apollo o Apollonio, grande oratore alessandrino che aveva creduto in Gesù e aveva evangelizzato Corinto, permettendo a Paolo la sua missione a Efeso (dove Apollo gli aveva già aperto la strada). Qui Paolo, ospite in casa di Aquila e Priscilla, come suo solito cercò di spiegare la dottrina di Gesù in sinagoga, ma, tanto per cambiare, ottenne più che altro ostilità. Allora affittò per alcune ore al giorno l'aula di un maestro locale, Tiranno, dove poteva parlare non solo il sabato (come doveva fare in sinagoga) ma tutti i giorni. I suoi discepoli aumentarono anche perché ci si accorse che tutti gli oggetti che erano stati a contatto con lui (fazzoletti, grembiuli, eccetera) guarivano i malati. E soprattutto liberavano gli ossessi. Arrivò allora in città un ebreo di casta sacerdotale, Sceva, che insieme ai suoi sette figli faceva l'esorcista itinerante. Aggiunsero ai nomi magici che usavano nelle loro pratiche anche "quel Gesù che Paolo predicava" (19,12). Un indemoniato rispose loro che conosceva sia Gesù che Paolo, ma non loro. E li caricò di mazzate, tanto da metterli tutti e otto in fuga - da solo - laceri, pesti e sanguinanti. Questo fatto, ovviamente, aumentò a dismisura la fama di Paolo: "Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche di magia e un numero considerevole di persone, che avevano esercitato arti magiche, portavano i loro libri e li bruciavano davanti a tutti. Ne fu calcolato il valore complessivo e si trovò che era di cinquantamila monete d'argento" (19,18). Una cifra spropositata, ma che rende l'idea della diffusione delle pratiche stregonesche a Efeso. Anzi, i libri di magia locali erano talmente famosi in tutto l'impero da avere un nome preciso: Lettere Efesine. Queste erano non solo usate ma c'era anche chi le portava, miniaturizzate, al collo come amuleti. Un altro amuleto molto diffuso era un mini-tempio d'argento. Si, perché vanto di Efeso era il suo enorme tempio di Diana, una delle sette meraviglie del mondo antico: era una costruzione straordinaria, retta da ben centoventi colonne di marmo pregiato e zeppa della ricchezze offerte da fedeli provenienti da ogni dove. Diana per i romani e Artemide per i greci era raffigurata in una grande statua di legno nero che si riteneva fosse caduta dal cielo. Ora, nella mitologia greca Artemide, figlia di Giove e Latona, era la dea cacciatrice, rappresentata con l'arco in mano. Era anche la dea vergine per antonomasia. Sorella di Apollo, dio del sole, era di converso la dea della luna e la falce della luna simboleggiava il suo arco. Fa riflettere il fatto che San Giovanni Evangelista, trasferitosi a Efeso insieme a Maria, vide, nell' "Apocalisse", la Vergine con la falce della luna sotto ai piedi. La Vergine è la Madonna, colei che schiaccia il capo al serpente che è il demonio. Così, Efeso, patria del culto della dea-vergine e lunare, nonché ricettacolo di demoni e indemoniati, venne esorcizzata dalla presenza della Madre di Dio.
LA MADRE DI TUTTI I VIVENTI
Ma c'è di più, l'Artemide Efesina aveva anche un altro aspetto: era venerata come madre di tutti i viventi, la Grande Madre. Infatti, la sua statua aveva la parte inferiore, fasciata, ricoperta di iscrizioni e simboli animali; ma quella superiore era nuda e dal petto pendevano decine di mammelle. Come dea della fecondità il suo culto risentiva di influenze asiatiche e ormai somigliava più a quelle dell'Astarte Siriaca e dell'Afrodite Cipriota, con tanto di prostituzione sacra praticata nel suo tempio. Pure in questo aspetto, la Madonna, madre dei nuovi viventi (in Cristo) come Eva lo era stata dei vecchi (anzi, Madre della Vita stessa, perché Cristo è Via-Verità-Vita), sostituisce l'antica divinità pagana che così si rivela per quel che era: pallida e grottesca prefigurazione. Anche questo contribuì ad aprire gli occhi a moltissimi efesini (gli antichi erano molto più sensibili di noi ai segni e ai simboli).
Ma il vero Dio ha sempre un concorrente potentissimo nel cuore degli uomini: Mammona. Infatti, la corporazione degli orafi, aizzata dal suo capo Demetrio, accusò il colpo che la nuova fede infliggeva al commercio dei famosi tempietti d'argento. Gli orafi misero allora la città in subbuglio e la adunarono nel teatro (quello di Efeso era uno dei più grandi del mondo: trentamila posti). Qui furono trascinati Caio e Aristraco di Tessalonico, due compagni di Paolo, mentre la folla tumultuava accusandoli di sovversione di fronte agli Asiarchi, i funzionari preposti al culto e ai giochi. Paolo a quel punto avrebbe voluto presentarsi, ma i discepoli glielo impedirono perché correva brutta aria. Ci pensarono i giudei a dare in pasto alla folla Alessandro, un ebreo molto conosciuto e influente che però aveva abbracciato il nuovo credo. Questi voleva parlare ma lo schiamazzo e le urla ritmate ("Grande è l'Artemide degli Efesini!", At 19,34) non glielo consentirono. Per sua fortuna intervenne il cancelliere (capo amministrativo della città) e, ricordando ai presenti il rischio dell'accusa di sedizione, li convinse a rimettere la faccenda al giudizio del Proconsole. Quest'ultimo in tempi determinanti, percorreva la provincia e ascoltava i casi che gli venivano sottoposti. Ma Paolo non ne attese l'arrivo e, per non mettere a repentaglio la sorte dei cristiani efesini, preferì andarsene.
FIN QUI GLI ATTI
Giovanni Evangelista andò a stare ad Efeso probabilmente dopo l'uccisione di suo fratello Giacomo e l'imprigionamento di Pietro (che, liberato da un angelo, lasciò Gerusalemme). Sappiamo da sant'Ireneo della "Chiesa di Efeso, fondata da Paolo, nella quale fino all'età di Traiano fu presente Giovanni" (Adversus haereses, III,4: Ireneo era stato discepolo di san Policarpo, il quale era stato discepolo diretto di Giovanni). Giovanni resuscitò un morto a Efeso e ciò ne determinò l'arresto. Portato a Roma, dice Tertulliano che fu gettato in un pentolone di olio bollente ma ne uscì miracolosamente illeso. Non riuscendo ad ucciderlo, se ne sbarazzarono relegandolo nell'isola di Patmos, di fronte a Efeso. Qui scrisse l'Apocalisse. Dopo qualche anno, liberato, tornò a morire a Efeso. La Madonna era già salita al cielo: secondo le visioni di Anna Katharina Emmerick (1774-1824), all'età di sessantadue anni.
Già, la Emmerick. La veggente della Westfalia aveva "visto" come in un film la vita di Maria; e lo scrittore Clemens von Brentano, che annotava le sue visioni, ne aveva tratto il libro Vita della Santa Vergine Maria. Seguendo le indicazioni contenute in questo libro, nel 1881 due archeologi trovarono la casa in cui la Madonna aveva vissuto a Efeso. Le descrizioni erano precisissime e tanto più stupefacenti se si pensa che la veggente era analfabeta, non si era mai mossa dal suo villaggio né dal letto in cui aveva trascorso quasi tutta la sua vita da malata. Il posto, si scoprì, era già oggetto di antichissima venerazione, ma pochi erano quelli che ne conservavano qualche memoria. Infatti, l'antica Efeso non esisteva più e, per giunta, da parecchi secoli la zona era inglobata dalla Turchia musulmana, perciò la presenza cristiana era ridotta al lumicino. Eppure, il luogo conservava nel nome il riferimento alla "casa di Maria", Meryem ana evi. Tutto corrispondeva a quello che la Emmerick aveva "visto", al dettaglio. La casa in cui Maria era vissuta accanto al discepolo di suo Figlio e dalla quale era stata assunta in cielo fu allora restituita alla venerazione dei cristiani e nel 1967 venne visitata dal papa Paolo VI. Nel 1979 ci andò anche Giovanni Paolo II. Nel 2006 fu la volta di Benedetto XVI. L'antica Efeso, mezzo greco e mezzo romana ma anche asiatica, era stata un centro di sincretismo religioso; da qui le contaminazioni tra i vari culti pagani da cui era scaturita Artemide Efesina, vergine e madre, poi detronizzata dalla vera Vergine Madre che, secondo lo stile buono e silenzioso con cui il cristianesimo si andava affermando, era andata ad abitare non al centro della megalopoli (occupato dal grande tempio, "meraviglia" dell'antichità) bensì poco fuori, in un posto discreto e defilato: Meryem ana evi.
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