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« Torna agli articoli di Enrico Maria Romano
Come varie volte ha sottolineato il quotidiano indipendente La Verità, Avvenire - il "quotidiano di ispirazione cattolica" in Italia - ultimamente sta annacquando sempre più cotal nobile ispirazione. Addirittura, a volte, sembrerebbe un giornale laico-laicista-progressista, sullo stile, certo inarrivabile, di Repubblica, La Stampa o Il Corriere della Sera.
Si pensi alla lotta accanita condotta dal direttore Tarquinio e dai suoi contro Donald Trump, presentato più o meno come un demonio eletto misteriosamente presidente, o alla feroce condanna del Brexit e del cosiddetto populismo. Tutte battaglie sicuramente iper-politiche e arci-divisive che richiederebbero, in sé e per sé, più misura in un organo finanziato dalla CEI, Conferenza episcopale che vuol essere una istituzione aperta a tutte le sensibilità e non lontana da alcun cittadino della paese...
Ma il colmo si è avuto, e non da ieri, con tutta una serie di sviste in cui la ispirazione cattolica è stata apertamente cancellata e rimossa in nome della laicità dello Stato, della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e ancor più del pensiero dominante, oggi, in Italia e in Europa. Troppi sarebbero gli esempi sui cedimenti dell'ultimo lustro, e le altrettante omissioni più o meno gravi: sulla difesa della vita nascente, della famiglia tradizionale (e biblica), sui problemi dell'invasione islamica, anche al di là del terrorismo e sulla quanto mai dimenticata dittatura del relativismo (come insegnava Benedetto XVI).
PIER GIORGIO LIVERANI
Una penna piuttosto arguta e libera è sempre stata quella del giornalista ed ex direttore Pier Giorgio Liverani. Sapido commentatore dell'attualità e dei suoi riflessi nel giornalismo italico, e critico di vaglia nel mostrare le contraddizioni della stampa laica e acattolica, tutta protesa nella difesa delle minoranze etiche e religiose, ma stranamente cerebrolesa in rapporto alla maggioranza cristiana della nazione.
Ma a forza di navigare in acque torride, anche gli ingegni migliori si bloccano e recepiscono la vulgata del Sistema come fosse la Parola di Dio. Così, nel suo recente commento domenicale (Avvenire, 9.4.17, p. 3), il Liverani spara a zero, contro coloro che, secondo lui "avrebbero voglia di sparare" (ma a chi?). Citando e criticando un articolo di Libero che si limitava a difendere la legittima difesa, anche acquisendo un'arma, come è permesso ancora in Italia, il Nostro, iniziava notando che nel 2015 i porti d'arma nel Bel Paese erano "1.309.818: un esercito"!
In realtà, già a priori, minorenni e non vedenti esclusi, non sembrano poi tantissimi 1.300.000 cittadini col porto d'armi, sui circa 60.000.000 di compatrioti. Ma entrare in questa logica delle cifre significa già cedere al pacifismo laico del Liverani e di Avvenire, e non capire che la violenza dell'offesa non è moralmente assimilabile alla 'violenza' della difesa. O invece lo è?
CONFONDERE AGGRESSORI E AGGREDITI
Segno di tale iniqua ed eversiva equiparazione militano frasi come queste: "Gli armaioli gioiscono" (per la vendita delle armi); "La pistola del ladro e quella del derubato sono, purtroppo, segno della perdita del valore della vita umana"; rispetto a chi spara, "molto meglio chi scende le scale armato di una scopa"... Forse, qui, Liverani voleva scherzare...
Ma il coltello del torturatore è eticamente uguale a quello di chi si ribella alla tortura? E' la guerra di occupazione e di rapina è pari a quella di liberazione e di difesa? Il mitra del mafioso intento nella rapina in banca avrà la stessa legittimità del mitra del poliziotto accorso, per eseguire un ordine e tutelare il bene comune? Il solo confondere aggressori e aggrediti è segno della perdita del senso morale, e proprio i delinquenti e i terroristi, di cui i giacobini restano sempre un esempio emblematico, sono soliti lamentarsi del carcere, del manganello e della violenza dello Stato...
Il più grande teologo di tutti i tempi, citato molte volte nel Concilio Vaticano II e nel Magistero recente dei Pontefici, è Tommaso d'Aquino (1225-1274). E sappiamo, senz'ombra di dubbio, che il nostro ne conosce il pensiero, almeno a grandi linee. Ebbene, l'Angelico, come lo chiama la Chiesa, nella sua opera principale, la Summa teologica, spiega chiaramente la legittimità – teorica, ma con evidenti ricadute pratiche – della pena di morte, della guerra giusta (ovvero difensiva) e della difesa personale. San Tommaso, ad esempio, si chiede in un intero articolo dell'opera "se sia permesso uccidere per difendersi" (II-II, q. 64, a. 7) e giunge alla conclusione positiva, asserendo che "questa azione (di difesa) non può essere considerata illecita per il fatto che con essa si intende conservare la propria vita". Quindi, si badi bene, "non è necessario per la salvezza dell'anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l'uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto più a provvedere alla propria vita che a quella altrui". S. Tommaso non è un eccezione. Secoli prima di lui e secoli dopo di lui, due grandissimi santi, anch'essi autori di tante opere dogmatiche, etiche e spirituali, s. Agostino (354-430) e s. Alfonso (1696-1787), non hanno detto cose diverse.
LA LEGITTIMA DIFESA SECONDO IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
Concediamo però che ai giornalisti il tempo manca, e non sempre si ha il modo di consultare i classici della filosofia e della teologia. Il Catechismo della Chiesa cattolica però lo dovrebbero avere ed usare tutti quelli che insegnano la morale agli altri, magari scrivendo da decenni sul quotidiano di "ispirazione cattolica".
Il Catechismo, per chi non lo sapesse, fu il frutto maturo di anni di riflessioni e confronti tra teologi e presuli, presieduti dal cardinal Ratzinger. E fu quindi pubblicato da Giovanni Paolo II nel 1992, e rivisto, ebbe il definitivo imprimatur nell'edizione tipica del 1997.
Al paragrafo dedicato alla legittima difesa, il testo dichiara autorevolmente: "Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale" (n. 2264). E viene citato proprio san Tommaso come sostegno teologico dell'affermazione. Il testo aggiunge che "La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere per chi è responsabile della vita di altri". Così i pacifisti, oltre a rifiutare un diritto naturale alla parte debole e agli aggrediti, vengono meno anche all'osservanza di un dovere morale. Inoltre: "La difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere": come ci riuscirà il Liverani? Con la forza della sue preghiere?
Stessa legittimità esiste, secondo il Catechismo, per i concetti di guerra giusta (n. 2309), e di pena di morte (2267). Ciò non significa ovviamente che ogni guerra sia giusta, che ogni pena di morte sia giustificata e che ogni legittima difesa sia automaticamente proporzionata all'offesa. Ma significa che queste misure e questi comportamenti non possono essere intesi in astratto e condannati in blocco, almeno se si segue la visione cattolica.
E neppure dovrebbero esserlo per un quotidiano che dice di ispirarsi ad essa.
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