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È ufficiale: in Europa c’è un partito dei minareti. Parte dai neo-fondamentalisti islamici alla Tariq Ramadan – lupi travestiti da agnelli, meno solerti quando si tratta di chiedere libertà di culto per i cristiani in Arabia Saudita o in Pakistan –, passa per gli eurocrati di Bruxelles e di Strasburgo – quelli del no al crocifisso e del sì invece al minareto – e arriva fino all’immancabile Gianfranco Fini. Ma frequentando, come mi capita in questi giorni, qualche dibattito e talk show assisto pure a una strana rinascita di affetto e stima per la Chiesa cattolica da parte della sinistra nostrana. Zitti – ci intimano –: “il Vaticano” ha parlato e tutti i buoni cattolici devono stringersi intorno alla difesa dei minareti. L’antico motto “Roma locuta, quaestio soluta”, “Quando Roma ha parlato la questione è risolta” è invocato da comunisti, dipietristi e persino musulmani. Fateci caso: quando la Congregazione per la Dottrina della Fede – che, lei sì, esprime la posizione ufficiale della Chiesa – afferma che sospendere l’alimentazione e l’idratazione dei malati in coma è omicidio per molti media italiani si tratta dell’“opinione del cardinal Levada”, subito contraddetta nella colonna accanto dello stesso giornale da un altro cardinale, magari in pensione, anziano e milanese. Se invece un vescovo o un collaboratore dell’“Osservatore Romano” attacca gli elettori svizzeri sui minareti ecco che “il Vaticano” ha parlato e i cattolici devono stare zitti.
Non ignoro l’opinione dei vescovi della Svizzera. Ma il loro presidente eletto si è dichiarato anche contrario al celibato dei sacerdoti, ed è difficile presentare pure questa come opinione “del Vaticano”. Se poi dai titoli passiamo alla sostanza, vediamo che si fa una gran confusione tra tre questioni diverse. La prima riguarda la libertà di culto. Questa deve essere garantita anche ai musulmani, i quali hanno diritto di radunarsi in sale di preghiera – beninteso per pregare, non per reclutare (è successo) terroristi da inviare in Afghanistan – pulite, igieniche e note alle forze dell’ordine come tali. L’Occidente, che ha una cultura giuridica diversa, garantisce la libertà religiosa anche a chi non la offre in patria ai cristiani: anche se fa bene quando gli fa notare l’esigenza di reciprocità, come il Papa stesso ha fatto parlando agli ambasciatori dei Paesi islamici a Castel Gandolfo il 25 settembre 2006.
La seconda questione riguarda i minareti. Non sta scritto da nessuna parte che per esercitare la libertà di culto ci sia bisogno del minareto. La sua funzione propria è quella di chiamare i fedeli alla preghiera – oggi in genere tramite un altoparlante – ma questo di norma non avviene in Europa dove non ci sono muezzin, neppure elettronici. Pertanto il minareto è nel migliore dei casi un ornamento estetico, nel peggiore un’affermazione identitaria, volta a segnare la conquista di un territorio: di qui la corsa a minareti più alti dei campanili cristiani. Nel secondo caso quella che si risolve in una provocazione può essere vietata dallo Stato in nome del bene comune; nel primo, se del caso, in nome della tutela dell’identità architettonica e paesaggistica delle nostre città.
Ma c’è una terza questione, che viene prima del minareto: la moschea. Purtroppo si continuano a confondere moschee e sale di culto. A differenza della sala di culto, la moschea è un’istituzione globale dove la comunità musulmana si trova per affrontare questioni non solo religiose ma giuridiche, sociali e politiche. “È dunque scorretto – ha scritto l’islamologo gesuita padre Samir Khalil Samir su ‘Avvenire’, un quotidiano talora presentato anch’esso (erroneamente) come ‘il Vaticano’ – parlando della moschea, parlare unicamente di ‘luogo di culto’. Com’è scorretto, parlando della libertà di costruire moschee, farlo in nome della libertà religiosa, visto che non è semplicemente un luogo religioso, ma una realtà multivalente (religiosa, culturale, sociale, politica, eccetera)”. Non si può escludere che ci siano in Europa situazioni locali in cui – dopo avere considerato con grande prudenza chi è che la propone, la finanzia e la gestirà – le dimensioni, la rilevanza e il contesto in cui si muove una comunità musulmana rendano accettabile che si prenda in esame l’idea della moschea. Ma non sempre e non dovunque. Non abbiamo bisogno di lezioni sulla libertà religiosa né da Fini né da Rosy Bindi. Si può essere a favore della libertà religiosa ma contro le autorizzazioni indiscriminate a costruire moschee. E minareti.
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