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Dopo la strage sulla Rambla barcellonese ci si è chiesti perché la Spagna sia un obiettivo privilegiato per il terrorismo islamico. Ebbene, rifacendosi alla storia, due sarebbero le ragioni. La prima è che gli spagnoli sono gli ultimi europei ad avere ancora due possedimenti - seppur ciascuno di pochi chilometri quadrati - sul territorio africano, per giunta islamico: sono le città di Ceuta e Melilla sulle coste del Marocco. Le città - entrambe sugli 80mila abitanti - sono di proprietà spagnola da secoli (furono basi per combattere, guarda caso, la pirateria saracena) e la loro popolazione è composta quasi interamente da spagnoli. Ma, come si sa, i fedeli del Corano dividono il mondo in due parti: quello della pace, musulmano, e quello della guerra. Che è poi tutto il pianeta non ancora passato sotto la sudditanza della mezzaluna. È intollerabile, per loro, l'esistenza di quei due "tumori degli infedeli" all'interno di un Paese che è "loro". Da qui la lunga, violenta polemica del Marocco, cui si oppone il rifiuto di cessione della Spagna, ricordando che popolazione, abitudini, lingua, religione di Ceuta e di Melilla sono da secoli spagnoli. Intanto, le due città sono in stato d'assedio, chiuse da una doppia recinzione di alte barriere di filo spinato non solo per evitare un improvviso blitz militare marocchino, ma anche per non concedere l'accesso a turbe di neri subsahariani che sperano di trovare in quel piccolo territorio formalmente europeo un trampolino per il passaggio al Vecchio Continente. È una situazione esplosiva, della quale non solo in Italia ma nell'intera Europa si parla poco: ed è un errore, perché qui, sulle coste africane, c'è un focolaio acceso che alimenta l'orgoglio omicida del terrorismo.
LA NOSTALGIA PER LA PERDITA DELLA SPAGNA
Più conosciuta l'altra ragione che può spiegare l'accanimento dei terroristi. Resiste da secoli, in tutto il mondo musulmano, la nostalgia per la perdita di Al Andalus, come chiamavano la Spagna nella sua totalità. In particolare, il rimpianto è per la regione che non a caso è detta Andalusia, regione privilegiata per il suo clima, le sue acque, i suoi frutti, le sue città, le sue dinastie spesso famose non solo per le armi ma anche per la cultura. Ma non si tratta solo di nostalgia bensì, per i musulmani praticanti, c'è la necessità religiosa di ritornare in quei luoghi: per essi, infatti, ogni terra in cui sia stato praticato il culto islamico non può diventare proprietà degli infedeli. Non potendo (per ora, almeno) ritornare con le armi, i devoti sembrano volere prepararsi alla riconquista intensificando l'immigrazione, spesso clandestina, di seguaci del Corano e investendo in Andalusia grandi capitali per comprare terre, industrie, case. Intanto, le bombe esplodono qua e là per la Spagna per mostrare che l'Islam non ha dimenticato una terra che fu sua per sette secoli e che non dispera di riavere.
Naturalmente, dopo ogni attentato si sprecano le parole di politici e dei media sulla resistenza, sulla volontà di difesa dei valori dell'Occidente. Lasciamo da parte il discorso dei "valori" che ci porterebbe a dire cose anche imbarazzanti, come chiedersi (con ogni rispetto per i 12 morti) se fossero davvero "valori" quelli di un giornale blasfemo, sconcio ancor più che volgare, cinicamente nichilista come Charlie Hebdo.
LA BANDIERA DELL'ANDALUSIA
Ma centriamo il discorso sulla "difesa". Scoprendo che succedono cose strane, come quella della bandiera che l'Andalusia si è data, alla pari delle altre comunità autonome nelle quali, dopo la morte di Francisco Franco, è stata divisa la Spagna. La bandiera attuale fu disegnata, già nei primi decenni del secolo scorso, da Blas Infante, uno degli iniziatori di un "nazionalismo" andaluso che segnasse la differenza di questa terra dalle altre ispaniche. Secondo molti studiosi Blas (che pare avesse ascendenti "mori") in un soggiorno in Algeria si sarebbe convertito all'islam. Vero o no che sia, resta il fatto che il vessillo da lui elaborato è una esaltazione di Al Andalus musulmano. La bandiera, infatti, consta di tre strisce orizzontali di eguali dimensioni: la striscia più in alto e quella più in basso sono verdi, mentre quella centrale è bianca. Fu lo stesso Blas Infante a spiegare il significato dei colori da lui scelti: il verde (colore, tra l'altro, prevalente nell'Islam) era in onore del potente califfato degli Omeyas del X secolo. Il bianco, invece, ricordava l'impero Almohade del XII secolo, sotto il quale il verbo annunciato da Maometto raggiunse il maggiore splendore.
Dunque, come la mettiamo? L'Andalusia ritornata cristiana da ormai cinque secoli, grazie a una riconquista lunghissima, vorrebbe contrastare il possibile ritorno violento de los Moros, agitando una bandiera che esalta le loro glorie maggiori e che esprime nostalgia per la sottomissione alla mezza luna?
Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo sottostante dal titolo "Operazione Deconquista, il patto tra Islam e Sinistra" parla del braccio di ferro per espropriare alla Chiesa la cattedrale di Cordoba, cattolica da 700 anni, per ospitarvi un culto condiviso tra islamici e cristiani. E' l'operazione Deconquista, di cui si fanno portavoce la Sinistra spagnola e le comunità islamiche.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 novembre 2017:
La chiamano già deconquista, un'operazione di presa di possesso di antichi luoghi islamici nel cuore dell'Europa. E' una delle vie che provano l'avanzata dell'islamizzazione del Vecchio Continente. Giovanni Paolo II vide un'invasione vera e propria, ma quanto sta accadendo in Spagna, dopo quello che abbiamo visto in Germania, dimostra che l'invasione non deve per forza usare scimitarre ed eserciti, ma più semplicemente l'utilizzo astuto e strumentale delle leggi. Ad esempio può occupare luoghi.
Ne è una prova lampante quanto sta accadendo silenziosamente da mesi in Spagna dove uno dei simboli della cristianità è diventato l'oggetto del contendere in un braccio di ferro che vede opposta la Chiesa alla comunità islamica che si è trovata come alleate le forze politiche più laiciste del Paese.
Siamo a Cordoba, città tra le più importanti dell'Andalusia ed è qui che la locale cattedrale rischia di diventare il primo avamposto di una conquista islamica di ritorno. Anzi, come è stata ribattezzata una deconquista, dato che è proprio grazie alla Reconquista che la cattedrale di Cordoba poté tornare ai cristiani nel 1236.
Da quell'anno, dopo la riconquista della città da parte di Ferdinando III di Castilla la titolarità della splendida moschea-cattedrale di Cordoba è in mano alla Chiesa che aveva così riavuto il tempio strappato e trasformato in moschea dai mori. Un tempio patrimonio dell'umanità, dove gli elementi architettonici originari islamici si mescolano e si fondono con gli interventi successivi di epoca rinascimentale e barocca. E infatti la mescolanza tra i diversi stili è diventata la scusa per cambiarne la titolarità: non più di proprietà della Chiesa, ma in mano allo Stato in modo che la gestisca affidandola ora agli islamici ora ai cristiani.
Una proposta folle, che adombra una coabitazione impossibile, che pure da queste parti per alcuni anni è stata tollerata prima che i mori definitivamente cacciassero i cristiani. A farsi portavoce di questa richiesta non è soltanto la giunta islamica locale, ma anche la Sinistra estrema di Podemos che chiede alla giunta regionale andalusa di convertire il tempio in un luogo dal culto misto e regolamentato dallo Stato. La presidente della giunta andalusa Susanne Diaz ha proposto una soluzione di compromesso affidando la titolarità all'ente pubblico, ma l'amministrazione alla Chiesa. Ma è anch'essa una soluzione inaccettabile per la Chiesa spagnola che si sta opponendo in ogni modo al progetto. Forte del fatto che in realtà l'architettura originaria, secondo recenti studi, non sarebbe propriamente islamica, ma bizantina. Quel che è certo è che anche la storia di Cordoba è la fotografia della repentina islamizzazione dell'Europa.
L'operazione di espropriazione è stata condannata dal vescovo di Cordoba Demetrio Fernandez e con lui l'amministrazione comunale della città spagnola. Ma il patto d'acciaio tra le forze laiciste e la comunità musulmana è forte proprio perché alimentato dal comune anticattolicesimo.
Con i numeri in crescita spaventosa per quanto riguarda la presenza musulmana in terra iberica. Secondo l'Ucide, Unione delle comunità islamiche di Spagna, alla fine del 2016 in Spagna vivevano 1.919.141 musulmani, pari al 4 per cento di tutta la popolazione. Di quei quasi due milioni di musulmani 515.482 risiedevano in Catalogna.
Non va meglio con la crescita delle moschee: 1.264 luoghi di culto islamici (moschee e sale di preghiera) nel più recente censimento, 109 dei quali possono essere indicati come aderenti alla tendenza salafita, cioè l'interpretazione fondamentalista dell'islam. Galizia, dove i convertiti a Maometto sono già 5000, Catalogna e Andalusia le regioni nelle quali più accentuata è la crescita della popolazione musulmana. Intanto però ci si scandalizza per quel monito affidato da Giovanni Paolo II ad un sacerdote: «Vedo la Chiesa del terzo millennio afflitta da una piaga mortale, si chiama islamismo. Invaderanno l'Europa. Ho visto le orde provenire dall'Occidente all'Oriente: dal Marocco alla Libia, dall'Egitto fino ai paesi orientali». In quella visione il Santo pontefice indicava anche il rimedio: una fede salda e forte. Che si attiva anche nel difendere i tesori della Cristianità da un'offensiva mortale che sembra avere il sopravvento su tutto, anche sul buon senso e sulla storia.
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