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« Torna agli articoli di Costanza Miriano
L'isteria collettiva del politicamente correttissimo ormai fa sì che se una preside, Clara Rech del liceo classico Visconti di Roma per fare nomi e cognomi, scrive su un documento di autovalutazione un dato oggettivo - "non ci sono alunni stranieri né disabili" - scatta la damnatio su Repubblica, il ministro Fedeli minaccia provvedimenti perché la scuola deve essere inclusiva e multitutto.
Bene, vorrei dire che il ministro ha ragione, la scuola deve essere inclusiva, cioè dare a tutti le stesse possibilità. Il principio è sacrosanto, ma chiediamoci che significa, in concreto. Inclusivo per me vuol dire che chiunque decida di studiare seriamente, da qualunque paese o estrazione sociale provenga, possa avere le stesse possibilità. È un bellissimo programma, sarei d'accordo. Così davvero si permetterebbe la mobilità sociale, attualmente impossibile in Italia. Se sei figlio di professionista ma sei un deficiente, se sei una capra e soprattutto se non studi, per arrivare all'esame di abilitazione che ti permetterà di occupare il posticino preparato dai tuoi nel loro studio ci devi mettere almeno trentasei anni di studio, cioè ogni anno dei diciotto del percorso scolastico lo devi ripetere. Questa, una scuola che boccia e seleziona, sarebbe una scuola davvero inclusiva, dove anche il figlio del fruttivendolo del Bangladesh se si ammazza sui libri può diventare avvocato, mentre il figlio dell'avvocato che non ha voglia di studiare può comunque trovare posto al mercato; e adesso scatta anche per me l'accusa di essere classista, immagino. Chiariamo: il fruttivendolo è un lavoro nobilissimo, ma non serve studiare tanto. Punto.
LA SCUOLA È LIVELLATA VERSO IL BASSO
A essere classista è invece la scuola che vuole la Fedeli, livellata verso il basso, con cicli di studio più corti, e vietato bocciare (queste le sue novità). Questo è il vero classismo, una scuola che vuole tutti mediocri in modo che nessuno, neanche dotato di ottima volontà, riceva gli strumenti per elevarsi dalla condizione di partenza della propria famiglia (le eccezioni a volte ci sono, benché altamente scoraggiate dall'attuale modello scolastico).
La scuola cominci a bocciare senza pietà, e controlli che si faccia anche nelle private (alcune ottime, alcune rifugio dei figli di papà). I professori smettano di fare interrogazioni programmate, la vera piaga della scuola odierna, le scuole ricomincino a far studiare la grammatica, che gli occhi dei nostri ragazzi diventino rossi dallo sforzo di stare chini sui libri dalla mattina alla sera, invece che sugli smartphone (magari anche i genitori si disturbino un po' a toglierglieli questi telefoni, ai ragazzi: lo so che poi se li ritrovano parlanti e semoventi per casa, ma pazienza). Dalle elementari in poi, si smetta di fare cose che non c'entrano niente con lo studio, si vieti la visione di film, che è l'unica cosa che i ragazzi sanno fare benissimo da soli, si vietino i progetti didattici per "sapere i sapori regionali" e si srotolino paginate su paginate di analisi logica e grammaticale, ché poi magari all'università qualcuno potrebbe persino imparare a usare il congiuntivo (non farò battute sui politici che fanno fatica con l'italiano, ministro dell'Istruzione compresa, perché l'argomento è per me troppo drammatico, e non ci trovo niente da scherzare). Oggi una scuola figlia del '68 ha inteso la sacrosanta inclusione come livellamento verso il basso, non, come dovrebbe essere, verso l'alto: bisogna tutti aspettare l'ultimo della classe, anche se a febbraio non ha ancora ordinato i libri di testo. E se non hai studiato, non ti metto 2, ti dico che ti interrogherò il 9 marzo. Le mie insegnanti del liceo si rivoltano nella tomba. Il solo pensiero di andare a scuola senza aver fatto la versione di greco mi farebbe sudare freddo e balbettare di paura anche oggi che sono adulta, un solo sguardo e una increspatura di labbra della prof, quella che dava gli 1 meno meno di incoraggiamento, sarebbe bastato a gettare il terrore su tutta la classe. E se i genitori fossero stati convocati, si sarebbero schierati coi professori prima ancora di sentire cosa avessero da dire. Oggi invece i genitori proteggono i figli di questa generazione snowflake, poverini, dalle angherie scolastiche, tante volte dovessero subire dei traumi. [...]
TROPPI STRANIERI
Io ho cambiato una scuola a uno dei miei figli, alle medie, perché c'erano troppi stranieri. Non mi vergogno a dirlo perché io in quella scuola ce lo avevo messo, sapendo già che sarebbe stato in una classe multietnica. Il mio non è stato pregiudizio, è stato giudizio - nobilissima e doverosa attività umana. Dopo un anno di frequenza ho potuto verificare in prima persona, dati e prove concrete alla mano, che nella scuola italiana per come è concepita oggi, senza insegnanti che aiutino e affianchino i ragazzi con dei ritardi, che siano linguistici, culturali o cognitivi, la presenza significativa di stranieri che non parlavano la nostra lingua (non parlo di quelli nati in Italia) ha oggettivamente e vistosamente rallentato la didattica. È un dato di fatto incontrovertibile. Se fossi ricca e avessi già una strada spianata per i mei figli potrei anche, forse, essere più rilassata sul tema. Ma siccome i nostri figli non hanno niente altro che le loro forze su cui costruire il loro futuro, è nostro dovere di genitori metterli nelle condizioni di studiare più possibile, e con ritmi che li impegnino seriamente. Sarebbe un diritto, anche. Un diritto che la scuola di oggi non garantisce più, perché ci vuole tutti mediocri. Includere nella mediocrità non è un grande programma culturale.
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