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Il 14 novembre si è tenuta a Bologna presso il convento dei domenicani la V assemblea nazionale di Verità e Vita, la nota associazione pro vita che si distingue per l’instancabile impegno profuso a tutela della vita dal concepimento fino alla morte naturale e per l’appassionata difesa della verità da ogni tentativo di mistificazione e di accomodamento. Il pool direttivo è composto da persone di assoluto spessore umano e professionale tra i quali citiamo il presidente, il professore Mario Palmaro, ed il professore Giuseppe Garrone, da anni in prima linea per strappare alla morte fisica e spirituale il maggior numero possibile di donne e bambini.
Tra i diversi punti all’ordine del giorno affrontati nel corso dell’assemblea, di particolare rilievo la discussione sul ddl Calabrò sul testamento biologico. Il magistrato e membro del Comitato Giacomo Rocchi ha presentato una dettagliata quanto esauriente relazione circa i contenuti essenziali del progetto di legge all’esame del Parlamento. Innanzitutto, afferma Rocchi, c’è da chiedersi quali siano state le urgenze che hanno spinto il legislatore all’adozione della norma. Se l’unica urgenza fosse stata la necessità di evitare ad altri quanto è capitato ad Eluana Englaro sarebbe stata sufficiente una legge molto semplice che vietasse l’interruzione di alimentazione ed idratazione artificiale ai soggetti in stato vegetativo. Evidentemente, al legislatore interessano principalmente le dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), ossia quella parte del testamento biologico che permetterà di curare o di lasciare morire il soggetto incosciente.
Particolarmente indicativo è l’art. 3 della legge che riguarda il divieto di accanimento terapeutico: la definizione in esso contenuta dimostra che con il concetto ambiguo e dai contorni sfumati di “fine vita” si vuole estendere il divieto di accanimento anche a quelle condizioni in cui la morte non è prevista come imminente e come inevitabile.
L’intenzione vera del legislatore è dunque di permettere ai tutori degli incapaci di richiedere che quest’ultimi non vengano curati, sottolinea Rocchi. Altro punto delicato del testo di legge riguarda il consenso.
Il principio indicato nel testo secondo cui «ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole», tende pericolosamente ad invertire la logica che sottende il rapporto medico paziente. In altri termini, prosegue Rocchi, una buona regolamentazione dovrebbe prevedere (come già è indicato nel codice deontologico) come efficace il rifiuto ad un trattamento sanitario da parte del paziente (sempre che egli sia pienamente libero, adeguatamente informato e capace di intendere e di volere) e non che la legittimità dell’intervento medico dipenda da un preventivo consenso; in tal modo infatti il medico verrebbe messo da parte poiché senza consenso non avrebbe alcun obbligo verso il paziente ma, al contrario, un sostanziale divieto di agire. In effetti, il fondamento dell’attività medica è la tutela della salute del paziente e non il suo consenso.
Il dottor Rocchi ha poi passato in rassegna tutti gli altri punti del ddl Calabrò mettendone magistralmente in evidenza i lati oscuri e le pericolose ambiguità. In conclusione, l’eventuale approvazione del testo di legge aprirebbe probabilmente la strada all’introduzione sotto mentite spoglie nel nostro ordinamento giuridico della pratica eutanasica.
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