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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri
Nel Medioevo era conosciuta come l'«isola dei santi», per via dei monaci irlandesi che venivano a rievangelizzare il continente ricaduto nel paganesimo superstizioso dopo le invasioni barbariche. L'Irlanda, infatti, non conobbe mai eresie, nemmeno dopo lo scisma di Enrico VIII e la rivoluzione luterana che devastò l'Europa. Ma l'Irlanda cattolicissima non c'è più, tra nozze gay e aborto. Ora viene via anche uno degli ultimi tasselli, se non l'ultimo.
Quest'anno, per la prima volta dal 1927, il giorno del Venerdì Santo i pub sono rimasti aperti. La legge del 1927 è stata abrogata, in considerazione del fatto che al giorno di digiuno e astinenza nessuno crede più. Non si trattava tanto di un omaggio di Stato alla religione nazionale, quanto di una misura di decoro in quel giorno in cui tutta la cristianità osservava il lutto. Tenendo conto dell'attitudine dei popoli nordici ad eccedere nel bere alcol e a indulgere nei «weekend di sbronza», almeno in quel giorno la birra e il whisky se li dovevano bere a casa. Anche per non offrire, almeno in quel giorno, il consueto spettacolo di «eccedenti» ciondolanti fuori dei pub e sui marciapiedi.
Ma nel 2018 la novità è stata «accolta con favore dall'organizzazione di categoria dei gestori di pub, che stimano in 40 milioni di euro i guadagni complessivi derivanti dal giorno in più di vendite» (Ansa, ripreso dal Centro Studi Federici). Ancora una volta Mammona ha prevalso, anche perché i turisti ci restavano male. L'Irlanda onorava, con la chiusura dei pub, pure il giorno di San Patrizio, almeno fino al 1962. Vabbè, quello è un giorno di festa, perciò si può anche eccedere. Quando parliamo di attitudine degli anglosassoni (ma anche degli scandinavi) non stiamo colpevolmente generalizzando: in inglese il nostro saluto «vediamoci qualche volta» diventa «let's have a drink sometimes», beviamo qualcosa insieme.
Già il sociologo Léo Moulin aveva notato che nei film hollywoodiani si beve sempre e non si mangia mai: nei western, negli Usa c'era il «saloon», dove si beveva e basta; in Messico c'era la «cantina», dove si poteva mangiare. Diversa tradizione: cattolica in Messico e protestante negli Stati Uniti. Certo, anche l'Irlanda è di tradizione cattolica, ma ha sofferto di qualche secolo di dominazione inglese. Per tornare al Venerdì Santo, chi ha una certa età ricorda che anche da noi era un giorno di lutto nazionale: i cinema e i teatri chiudevano, la radio trasmetteva solo musica sinfonica e classica. Non c'era una legge precisa, come in Irlanda, non ce n'era bisogno.
I gestori dei locali di divertimento tacitamente si adeguavano alla compostezza e alla serietà di quel giorno, che vedeva la sera snodarsi per le città e i paesi le processioni della Via Crucis, o i Misteri, con le scene della Passione portate a spalla e la banda che intonava musiche dolenti e funebri. Poi, poco a poco, con gli Anni Sessanta cominciò la secolarizzazione, che deflagrò del tutto col Sessantotto. Altri cortei e altre processioni occuparono le strade, e per ben altri motivi le serrande restarono abbassate. Negli Anni da Bere successivi, anzi, i socialisti cercarono di ridurre ulteriormente le festività religiose, con la scusa che ce n'erano troppe e, invece, bisognava lavorare. Ma i popoli di cultura cattolica lavoravano per vivere e non vivevano per lavorare, così il Nuovo Concordato tagliò qualche festività ma dovette lasciare in piedi, per esempio, l'Immacolata.
Un ricordo personale: ero studente universitario a Pisa negli anni Settanta, e proprio in centro c'era un cinema a luci rosse; ebbene, era l'unico locale che il Venerdì Santo restava chiuso. E sulla porta metteva un cartello con su scritto (vado a memoria): «Oggi è il giorno della Passione del Signore e questo cinema resta chiuso». Per chi non sapesse che cosa sono le luci rosse sarò esplicito: pornografia pura. Si verificava così, con quel cinema, la sentenza evangelica dei pubblicani e delle prostitute che ci precederanno nel Regno dei Cieli.
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