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Silvia Sardone è una battagliera politica milanese. Consigliere comunale e regionale, qualche mese fa è transitata da Forza Italia al Gruppo Misto. Alle ultime elezioni ha incassato ben undicimila preferenze personali, talché Salvini pare intenzionato a metterla in lista per Bruxelles. Leggiamo su Affaritaliani.it (18 gennaio 2019) questa sua affermazione: «Ogni giorno scopro dati, provenienti dal Comune di Milano, che rivelano un clamoroso orientamento del welfare cittadino (ma è così in tante altre città italiane) nel favorire gli stranieri rispetto agli italiani».
Ed ecco le cifre: i sussidi per il sostegno al reddito di nuclei familiari in cui sono presenti minori finiscono per ben il 76% a famiglie straniere. «Una percentuale incredibile e in peggioramento, per gli italiani, considerato che due anni fa la quota per famiglie straniere era al 65%». La cosiddetta «bebè card», che viene erogata dal Comune per le nuove nascite? Delle richieste accolte, il 72% sono di donne extracomunitarie. E veniamo alle «borse lavoro», il cui fine è di agevolare l'inserimento nel mondo del lavoro per mezzo di un'esperienza lavorativa: la retribuzione del borsista la paga il Comune, non l'azienda che ospita il beneficiario. Ebbene, il 50% di queste borse è andato a stranieri. I quali, bisogna rammentarlo, sono solo una minoranza dei residenti. Il cosiddetto «reddito in inclusione»? Per il 68% a famiglie extracomunitarie. Ed eccoci all'assegnazione delle case popolari. Nella graduatoria di fine 2017, tra i primi duecento nominativi ben centotrentaquattro sono stranieri, cioè gli italiani sono presenti solo con un misero 33%. Si tenga presente che, come accennato, gli stranieri a Milano sono soltanto il 19% dei residenti.
Il che vuol dire, denuncia la Sardone, che «è in atto da tempo un vergognoso razzismo al contrario che penalizza i cittadini italiani milanesi». Il prossimo 2 marzo la sinistra scenderà in piazza per l'ennesimo corteo pro-migranti a Milano; se desse uno sguardo a questi numeri - conclude la consigliera- forse si accorgerebbe che «se esiste una discriminazione è quella a danno degli italiani». Il fatto è - diciamo noi - che, la sinistra, lo sa benissimo. E lo fa apposta. Infatti, cos'è la sinistra orfana di Marx senza un proletariato? Nulla. Ora, poiché il proletariato in Italia è scomparso dai tempi del Duce, e poiché anche gli operai sono scomparsi dopo che gli stessi sono riusciti a diventare borghesi (era il loro sogno), ecco il sol dell'avvenire sorgere, insperato, dall'Africa. Da lì viene il nuovo proletariato di sostituzione, per la gioia dei catto-comunisti, non a caso impegnati disperatamente per assicurarsene la rappresentanza-egemonia. Il ceto medio italiano d.o.c. ormai vota Lega, e a costituire il bacino elettorale della sinistra sono rimasti solo gli intellettuali radical-chic e i preti. Troppo pochi. L'odiata civiltà cristiano-capitalistica abbisogna, secondo questi, di una nuova forza d'urto per la spallata finale.
Certo, conciliare il politicamente corretto, il gender, l'aborto, il sesso libero e gayo, l'erba, con l'islam (ideologia di gran parte dei nuovi arrivati) sarà un bel busillis, ma ci si penserà a suo tempo. Una cosa alla volta. Sull'esempio di Lenin, intanto si prende il potere, il resto si vedrà. Il punto è, però, proprio questo: la sinistra sa come arrivare al comando, in questo è maestra; è il «dopo», per essa, il problema. Come tante volte (anzi, ogni volta) nella storia ha dimostrato.
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