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Seguendo l'esempio di Greta Thunberg, i giovani di tutto il mondo sono tornati ieri a protestare per l'ambiente. Il Gruppo intergovernativo dell'Onu sul cambiamento climatico (Ipcc) ha ribadito che se non verrà fatto nulla nei prossimi 12 anni, il pianeta andrà incontro a inenarrabili disastri entro il 2050.
Se nella comunità scientifica sono tutti d'accordo nell'affermare che il clima sta cambiando, diventando più caldo, non c'è unanimità sulla causa del riscaldamento. Secondo l'Ipcc e l'ambientalismo più aggressivo, di cui Greta è illustre rappresentante, la causa è l'uomo e le emissioni di CO2 di origine antropica. Che questa sia soltanto un'ipotesi, e neanche troppo confermata dai dati, lo si può intuire dagli stessi documenti dell'Ipcc, dove il modo verbale più utilizzato è il condizionale e l'avverbio più abusato è "probabilmente".
L'ambientalismo catastrofista ha però un effetto certo e immediato, almeno negli Stati Uniti: deprime i giovani. A forza di srotolare lo slogan "Ci stanno rubando il futuro", secondo un rapporto del 2018 della American Psychological Association, il 72 per cento dei millennial (nati tra il 1981 e il 1996) dichiara di avere "problemi emotivi" a causa della "inevitabilità del cambiamento climatico".
Matt Fellowes, a capo della United Income, piattaforma online che si occupa di gestire i risparmi pensionistici, ha dichiarato a MarketWatch che «c'è una certo fatalismo nella popolazione più giovane. C'è molto cinismo riguardo alla possibilità di mettere soldi da parte e riguardo alla possibilità di avere una pensione». In parte lo scetticismo è dato dall'esiguità dei guadagni, che impedisce di risparmiare, ma molti ritengono che «non c'è alcun futuro in vista del quale risparmiare».
Brad Klontz, docente associato presso il Financial Psychology Institute, ritiene invece che molti giovani usino la scusa dei cambiamenti climatici per non risparmiare. «Il risparmio va contro la natura umana, è difficile farlo perché implica un costo vivo. Per risparmiare, inoltre, bisogna superare la paura del futuro. È ovvio che chi ha una visione depressa di un terribile futuro, non pensa a risparmiare».
C'è un altro dato inquietante, rilevato nel 2018 dal New York Times. Il 30 per cento degli americani che affermano di non volere figli, lo fanno perché preoccupati di vederli nascere in un mondo apocalittico e perché non vogliono contribuire all'apocalisse generando altri esseri umani. In attesa di sapere se i cambiamenti climatici sono davvero causati dall'uomo, c'è dunque una certezza: il catastrofismo sta danneggiando seriamente il pianeta, deprimendo quelle stesse persone che potrebbero "salvarlo".
Nota di BastaBugie: Pietro Piccinini nell'articolo seguente dal titolo "Non credi al collasso climatico? Sarai chiamato negazionista" spiega perché il nuovo linguaggio adottato ufficialmente dal Guardian per parlare del riscaldamento globale (global warming) è più allarmante dell'allarme sul riscaldamento globale.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 27 maggio 2019:
Se non si riesce a convincerle, come si fa a costringere le persone a vedere le cose in un certo modo? Occorre innanzitutto impadronirsi delle loro parole. Non c'è più bisogno di leggere Orwell per comprendere l'efficacia di questa regola base del potere. Basta dare un'occhiata al Guardian e alle sue nuove linee guida per descrivere i cambiamenti climatici. Qualche giorno fa, infatti, il direttore del celebre quotidiano britannico, Katharine Viner in persona, ha deciso di diramare ai suoi redattori un memo per assicurarsi che «i termini che utilizziamo» a proposito dell'ambiente «riflettano con precisione i fenomeni che descrivono».
Non basta più sparare a ripetizione articoli-manifesto allarmanti e disperati (come questo proprio del Guardian) su quanti pochi anni ci restano prima di morire tutti noi disidratati o arrostiti dal caldo, salvo poi dover aggiornare continuamente il countdown verso un armageddon che non arriva mai. È necessario alzare l'asticella, o meglio la temperatura percepita intorno al tema. Occorre che il senso di emergenza climatica diventi indiscutibile, acquisito una volta per tutte, non più problematizzabile. Nemmeno i termini che si usano per designare queste cose devono lasciare adito a obiezioni o anche solo a domande. La signora Viner è convinta che ciò significhi essere più «fedeli ai fatti». E dunque, per assicurarsi di essere più «fedeli ai fatti», i giornalisti del Guardian d'ora in poi dovranno parlare non più di "global warming", ma di "global heating", mentre chi si ostina a mettere in dubbio l'allarme andrà definito non "scettico", bensì, molto più suggestivamente, "negazionista".
L'OFFENSIVA LESSICALE
Nessun obbligo, per carità, «i termini originali non sono vietati», ha concesso il direttore del Guardian nella nota per i suoi giornalisti, «ma dovete pensarci due volte prima di utilizzarli». Perché? È chiaro il perché:
«L'espressione "cambiamento climatico", per esempio, suona piuttosto passiva e delicata quando quello di cui parlano gli scienziati è una catastrofe per l'umanità».
Bisogna rendere atto al Guardian di avere avuto almeno l'onestà intellettuale di dichiarare apertamente le regole e i motivi della nuova strategia di persuasione. Cosa che però nulla toglie al disagio provocato da questa specie di offensiva lessicale in ogni lettore dotato di senso critico: l'idea, da parte di uno degli organi di informazione più seguiti al mondo, di far passare una certa visione delle cose semplicemente manipolando le parole usate per definirle è, appunto, vagamente orwelliana. Tanto più nell'ambito di una materia complessa e controversa come il clima.
I DENIERS DEL BREAKDOWN
Ma quali sono i rudimenti della Neolingua meteorologica del Guardian? Eccone un assaggio, tratto dalla nota del direttore (le virgolette sostituiscono i neretti del testo originale):
«Usate "climate emergency", "crisis" oppure "breakdown" invece di "climate change"
Usate "global heating" invece di "global warming"
Usate "wildlife" invece di "biodiversity" (quando opportuno)
Usate "fish populations" invece di "fish stocks"
Usate "climate science denier" oppure "climate denier" invece di "climate sceptic"».
Non serve un inglese particolarmente fluent per cogliere la rilevanza della forzatura linguistica. Il fievole tepore evocato dalla parola "warming" diventa l'allarmante incandescenza del termine "heating"; un semplice, quasi banale cambiamento climatico ("change") evolve in una spaventosa emergenza, una crisi, addirittura un collasso ("breakdown"). Ma probabilmente il vero capolavoro subliminale è il nuovo marchio coniato dal Guardian per stigmatizzare i dissidenti del global heating: essi non saranno più chiamati "scettici", saranno bollati direttamente come "deniers", guarda caso lo stesso termine che gli anglosassoni dedicano ai negazionisti dell'Olocausto. Ma non basta: i nuovi negazionisti devono sapere che quel che negano non è soltanto una teoria scientifica come le altre, bensì la "scienza del clima" in quanto tale.
L'HO VISTO ALLA BBC
Argomenti a supporto di tutto questo? Oltre alle filippiche (politiche) del segretario dell'Onu António Guterres, il Guardian menziona le tesi di un professore del Met Office britannico (che sarà pure uno scienziato e forse perfino in ottima compagnia, ma sicuramente non è "la scienza"). Poi cita la Bbc, che nello scorso settembre ha pensato bene di raddrizzare i suoi talk show troppo equilibrati sul tema del clima spiegando che «non c'è bisogno di un "negazionista" per bilanciare un dibattito»; e infine l'immancabile Greta Thunberg, ovviamente favorevolissima all'adozione della Neolingua climatica. Tutti appigli perfetti per restare «fedeli ai fatti».
DOVE NON ARRIVA GRETA, ARRIVERANNO I GIUDICI
Leone Grotti nell'articolo seguente dal titolo "Cambiamenti climatici. Dove non arriva Greta, arriveranno i giudici" rivela che un gruppo di esperti ha teorizzato che i governi possono essere costretti a ridurre le emissioni di CO2 dai tribunali, come fatto da Olanda e Australia, nel nome dei "diritti umani", ma in realtà contro l'uomo.
Ecco l'articolo completo pubblicato su Tempi il 27 aprile 2019:
Non sarà l'attivismo di Greta Thunberg a convincere i governi occidentali a «fare di più» per salvare la Terra e ridurre le emissioni di CO2 secondo la Bibbia del catastrofismo climatico. Saranno i giudici a obbligarli. È questa la teoria di un gruppo di esperti di diritto, che nel 2014 si è riunito per mettere nero su bianco una strategia per lavorare ai fianchi le democrazie di tutto il mondo e che ha cominciato a metterla in pratica. Se gli scienziati non riescono a dimostrare che i cambiamenti climatici sono causati dall'uomo, i popoli si ostinano a non percepire il riscaldamento globale come un'emergenza e di conseguenza i Parlamenti non hanno intenzione di prendere misure drastiche per contenerlo, allora il problema va portato nelle aule di tribunali. Sarà la giustizia a sopperire alle mancanze della politica, aggirando un piccolo dettaglio chiamato democrazia.
OLTRE 1.300 CAUSE IN 30 ANNI
Secondo una ricerca della Columbia University sono circa 1.300 le cause legali connesse ai cambiamenti climatici intentate in tutto il mondo dagli anni Ottanta a oggi. La più famosa, scrive il Washington Post, ha avuto successo in Olanda, dove nel 2015 il tribunale distrettuale dell'Aia ha condannato il governo olandese a fare di più per combattere i cambiamenti climatici, cioè a ridurre le emissioni di CO2 almeno del 25 per cento entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990. Il governo aveva approvato misure per tagliarle del 17 per cento. Nel 2018 la sentenza è stata confermata dalla Corte d'appello dell'Aia e il governo ha fatto ricorso alla Corte Suprema.
Diversi casi sono stati portati avanti anche negli Stati Uniti, ma la Corte Suprema ha sempre rigettato simili istanze ritenendo che le politiche climatiche siano appunto un problema politico e non legale. Una causa presentata in Oregon nel 2015 (Juliana v. United States) potrebbe raggiungere la Corte Suprema, anche se ha poche speranze di successo. I querelanti sostengono però di avere il diritto costituzionale a un ambiente pulito.
DOPO L'OLANDA, L'AUSTRALIA
A febbraio un giudice australiano ha impedito la costruzione di un impianto a carbone nello Stato di New South Wales sostenendo che avrebbe contribuito ad aggravare il riscaldamento globale e che impedire danni all'ambiente ha la precedenza rispetto a ottenere benefici economici.
Il magistrato che ha firmato questa inedita sentenza, Brian Preston, è uno dei primi esperti di diritto ad aver sostenuto nel 2011 che i governi vanno obbligati a cambiare le politiche climatiche nazionali attraverso i tribunali. Secondo lo scienziato ambientale Will Steffen «questa sentenza invia un segnale importante: il sistema legale è il luogo appropriato per fermare lo sviluppo costante dei combustibili fossili».
AGGIRARE LA SCIENZA CON I «DIRITTI UMANI»
Preston e altri 18 esperti hanno pubblicato nel 2014 un vero e proprio piano di battaglia per combattere legalmente l'inerzia dei governi. Uno dei problemi è rappresentato dal fatto che non è dimostrato scientificamente che i cambiamenti climatici siano prodotti da attività antropiche. Allo stesso modo, è molto difficile dimostrare che i danni prodotti ad esempio alle coltivazioni da violente alluvioni o climi torridi siano dovuti all'emissione di gas serra. Per aggirare questi problemi, sostengono gli esperti, è necessario che venga riconosciuto un «diritto umano» all'ambiente pulito e che a livello nazionale siano introdotte legislazioni che diano alla gente il diritto di far causa ai governi e alle aziende anche solo per aver «contribuito» ai cambiamenti climatici. Inoltre, gli esperti hanno proposto la creazione di un nuovo tribunale che imponga ai governi di applicare i trattati sul clima: una Corte internazionale sull'ambiente.
Niente di tutto questo, sottolinea il Washington Post, è ancora realtà. Ma la strada è stata tracciata. E seguendo l'esempio olandese, Alfredo Sendim, agricoltore portoghese, insieme ad altri querelanti di otto diversi paesi comunitari, ha fatto causa all'Unione Europea per non aver fatto abbastanza nella lotta al contrasto dei cambiamenti climatici. Alluvioni e incendi, avvenuti negli ultimi anni in molti paesi europei, sono stati portati come prove dei danni causati dal riscaldamento globale.
La causa avrà buon gioco a richiamare i precedenti in Olanda e Australia e secondo Christoph Bals, direttore di Germanwatch, la ong che sta portando avanti il processo e che sostiene finanziariamente Sendim, «gli ostacoli legali che un tempo si pensavano insormontabili stanno cadendo come birilli uno dopo l'altro». E pazienza se due di questi birilli si chiamano scienza e democrazia. Grazie a una concezione sempre più vasta di "diritti umani" ogni barriera può essere superata.
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