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« Torna agli articoli di Don Stefano Bimbi
La famosa parabola del figlio prodigo e del padre misericordioso rischia di non essere neanche ascoltata in quanto "la sappiamo già". E invece la Parola di Dio stupisce sempre in quanto ricca di insegnamenti e soprattutto parla a ciascuno di noi proprio nel momento in cui la leggiamo.
Tanto più questa parabola che ci ricorda che non si diventa cristiani perché più bravi degli altri. Questo sarebbe un comportamento farisaico. Invece il figlio prodigo che torna a casa ci spiega bene chi è il cristiano.
Basta chiedersi: perché il figlio torna a casa? Perché è diventato più bravo e diligente? Perché ama il babbo? No, il figlio prodigo non torna a casa perché è diventato magicamente bravo e buono e nemmeno perché finalmente ama il babbo. Semplicemente torna a casa perché ha fame e facendo due conti dice: "Chi me lo fa fare di morire di fame, mentre se torno a casa un piatto di minestra me lo danno di sicuro?".
Se invece di ragionare così fosse rimasto con i porci a morire di fame non sarebbe stato cattivo. Sarebbe stato semplicemente stupido. In pratica il figlio torna a casa perché è furbo. Capisce che ha perso molto andando via di casa e, quindi, torna sui suoi passi.
Essere cristiano, andare alla Messa, pregare ogni giorno, sforzarsi di ubbidire ai dieci comandamenti, ecc. non è sinonimo di bravo o santo, ma semplicemente furbo. Per chi ha scoperto che Gesù è via, verità e vita, sarebbe stupido stargli lontano visto che con Lui c'è gioia, pace e, alla fine, il Paradiso.
Il giovane ricco che se ne va via triste senza seguire Gesù non è più cattivo del figlio prodigo, semplicemente ha buttato via l'occasione della sua vita. Come il mercante di pietre preziose che trovando una perla di tanto valore non la comprasse, sarebbe semplicemente poco intelligente.
Il cristiano si trova nella stessa condizione ed è chiamato a cogliere al volo l'occasione di seguire Gesù. Infatti chi crede non è più buono di chi non crede... semplicemente è più furbo perché ha capito che stare con Dio è la sua salvezza. Il cristianesimo in definitiva non è questione di bontà (infatti solo Dio è buono), ma è questione di furbizia e convenienza.
Nota di BastaBugie: questo commento al vangelo, pubblicato nella rubrica quotidiana "Schegge di Vangelo", si riferisce alla parabola del Figliol prodigo tratta dal capitolo 15 del vangelo di San Luca. Ecco il link alla rubrica "Schegge di Vangelo" che quotidianamente commenta il vangelo del giorno:
http://lanuovabq.it/it/schegge-di-vangelo
BASTA UN PECCATO MORTALE PER DANNARSI PER L'ETERNITÀ
Il seguente articolo dal titolo "Un aneddoto per capire perché Dio non è ingiusto quando perdona all'ultimo momento della vita" è stato pubblicato su I Tre Sentieri il 20 agosto 2019 e narra un breve episodio che fa capire la grandezza della misericordia di Dio, ma anche la reale possibilità di dannazione dell'uomo perfino per un solo peccato mortale non confessato. Ecco l'articolo nella sua interezza:
Il re pagano Milinda disse ad un vecchio sacerdote cattolico che lo istruiva nella Fede: "Tu dici che l'uomo che ha compiuto tutto il male possibile per cent'anni e prima di morire chiede perdono a Dio, otterrà di rinascere in Cielo. Se invece uno compie un solo peccato e non si pente, finirà all'inferno. E' giusto questo? Cento delitti sono più leggeri di uno?" Il vecchio sacerdote rispose al re: "Se prendo un sassolino grosso così (e indicò una piccola misura) e lo depongo sulla superficie del lago, andrà a fondo o galleggerà?". "Andrà a fondo." Rispose il re. "E se prendo cento grosse pietre, le metto in una barca e spingo la barca in mezzo al lago, andranno a fondo o galleggeranno?". "Galleggeranno". "Allora cento pietre e una barca sono più leggere di un sassolino?" Il re non sapeva come rispondere. Il vecchio sacerdote spiegò: "Così avviene degli uomini. Un uomo, anche se ha molto peccato ma si appoggia a Dio, non andrà all'inferno. Invece l'uomo che fa il male anche una volta sola, e non ricorre alla misericordia di Dio, andrà perduto."
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