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« Torna agli articoli di Luisella Scrosati
Si fa un gran parlare, in questi giorni di Sinodo, di una maggiore attenzione all'armonia con la creazione, che i popoli indigeni delle foreste amazzoniche avrebbero particolarmente custodito. È probabilmente in questa prospettiva che si sono svolte quelle para-liturgie dal sapore decisamente pagano, ma che - pare - non si sappia bene chi le abbia proposte e quale significato volessero trasmettere. Mentre attendiamo che dalla Sala Stampa vaticana arrivino informazioni chiare e concordi, non possiamo non far notare che il gesto di prostrarsi a terra di fronte a delle statue o davanti ad una pianta, olezzi tanto di idolatria, sia che si tratti della "classica" idolatria" del paganesimo, che della moderna idolatria ecologista.
Fatto sta che l'antico Rito romano prevedeva, all'inizio delle quattro stagioni, tre giorni di digiuno ed astinenza (mercoledì, venerdì e sabato), giorni che prevedevano un formulario della Messa proprio, che viene mantenuto ancora oggi nella Forma Straordinaria del Rito Romano. Dalla Chiesa universale salivano a Dio digiuni e preghiere, per poter ricevere il frutto della terra e la grazia di numerose vocazioni.
L'origine di questi giorni liturgici risale almeno al V secolo, quando li si chiamava con il nome di jejunium primi, quarti, septimi, decimi mensis. In realtà vi sono attestazioni di una pratica precedente, al punto che san Leone Magno non esitava a definirle di "istituzione apostolica".
Secondo alcuni liturgisti si tratterebbe di una versione cristiana di un'osservanza ebraica; secondo altri, di una cristianizzazione delle romane feriae messis, vindemiales, sementivae, che il genio evangelizzatore avrebbe non semplicemente preso e riportato nei riti cristiani, ma purificato della loro paganità ed elevato al culto dell'unico Creatore di tutte le cose.
LA RIFORMA LITURGICA
La riforma liturgica ha poi abolito tali formulari, lasciando libertà ai parroci, come attesta un Benedizionale del 1992, "il mercoledì, il venerdì e il sabato dopo la III domenica di Avvento (Inverno), dopo la III domenica di Quaresima (Primavera), dopo la domenica della SS. Trinità (Estate), dopo la III domenica di settembre (Autunno)" di usare "qualche formulario particolare di preghiera dei fedeli e anche, nelle ferie del Tempo Ordinario, il formulario delle Messe per varie necessità". Si tratta di una minimalizzazione impressionante di una antichissima tradizione liturgica. Risultato? Praticamente nessuno lo fa e quasi nessun fedele sa cosa siano le Quattro Tempora.
In realtà, il passaggio verso la "dimenticanza" è stato più sottile. Secondo quanto riporta Bugnini, il Consilium incaricato di riformare la liturgia avrebbe delegato la celebrazione delle Quattro Tempora alle Conferenze episcopali, perché potessero fissarne i giorni in armonia con le stagioni. E Paolo VI, sempre secondo Bugnini, si era tanto raccomandato che le Conferenze Episcopali fissassero effettivamente tali giorni, dedicandoli anche alla preghiera per ottenere da Dio vocazioni sacerdotali, conformemente alla prassi tradizionale delle Quattro Tempora.
Qualche cosa non deve aver funzionato, se oggi ci ritroviamo in questa situazione.
I giorni delle Quattro Tempora hanno una duplice valenza, oggi più che mai necessaria. Anzitutto, in essi si domanda al Creatore di benedire i frutti della terra che si stanno per raccogliere o della semina che si sta per effettuare; lo si ringrazia della sua Provvidenza e si fa penitenza, perché il nostro peccato non sia la causa dei giusti castighi che ci potrebbero raggiungere attraverso la terra. Nelle menti cristiane non dovrebbe infatti mai cessare il ricordo che la terra fu colpita dalla maledizione a causa del peccato dei nostri Progenitori. Un ricordo che aiuta a capire le cause più profonde della "ribellione" della creazione, anche oggi.
Le Quattro Tempora celebrano dunque la dipendenza dell'uomo dal suo Creatore e la necessità di non violare le leggi che Dio stesso ha posto nella natura, inclusa la natura umana; una dipendenza riconosciuta con gioia e vissuta con senso di fiducioso abbandono. E nel contempo, nella loro dimensione penitenziale, esse nutrono la consapevolezza che ogni sconvolgimento che colpisce la terra ha la sua causa, prossima o remota, nel peccato di noi uomini, e non solo nei "peccati ecologici".
PREGHIERA PER LE VOCAZIONI SACERDOTALI
In secondo luogo, nelle Quattro Tempora si digiuna e si prega per implorare da Dio il dono di numerose e sante vocazioni sacerdotali. Questo significato si è sovrapposto al precedente, a motivo dell'uso della Chiesa di Roma di ordinare i sacerdoti nella veglia del sabato delle Tempora invernali. È così che la Chiesa per secoli ha affrontato il problema della mancanza di vocazioni, pregando il Padrone della messe e digiunando.
Sarà un caso che questo Sinodo - ma il problema non riguarda solo l'Amazzonia - lamenti proprio le due calamità che le Quattro Tempora affrontavano con spirito di fede? Sarà un caso che, abolite le Quattro Tempora, ai "problemi ecologici" e alla mancanza di vocazioni si cerchi di far fronte con soluzioni troppo umane, al limite (e spesso oltre il limite) della fede cattolica?
Lasciateci almeno la libertà di lamentare questi continui cortocircuiti in una gerarchia che sembra non sapere più dove andare: prima si aboliscono di fatto quei riti secolari (si pensi anche alle Rogazioni, anch'esse sparite) che educano il popolo di Dio alla giusta relazione con la creazione e al giusto modo di affrontare i problemi della fame, delle calamità, delle malattie, della carenza di vocazioni; e poi ci si dice che bisogna inventarsi qualcosa per recuperare il rapporto con la Terra e risolvere il problema della mancanza dei sacerdoti.
E non si può tacere che se si pensa di affrontare queste questioni con riti di fertilità e adorazione della "Madre Terra" da una parte, e con la creazione di un clero non continente dall'altra, siamo fuori strada. E non di poco.
Nota di BastaBugie: Marinellys Tremamunno nell'articolo seguente dal titolo "L'Amazzonia non è il polmone verde, né un paradiso" svela i tanti falsi miti sull'Amazzonia. Che non è affatto "vergine". Non è "indigena". Non è "il polmone verde" del mondo. Ed è tutt'altro che un paradiso: viverci è praticamente un inferno.
Ecco l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 18-10-2019:
Più di 180 vescovi si trovano in Vaticano per partecipare all'Assemblea Speciale del Sinodo per la regione Panamazzonica sul tema "Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale". [...]
Il grande pubblico ha visto bruciare le foreste amazzoniche per tutta la scorsa estate, nonostante i roghi siano presenti ogni anno nella stagione secca, tra luglio e settembre. Eppure, si sono sentiti risuonare ovunque grida d'allarme: dai più noti influencers green fino alla protesta massiva sui social, con tante immagini false e vecchie, sfociate in una grande crisi internazionale discussa perfino tra i Paesi del G7. Ma non è la prima volta che l'Amazzonia è motivo di dibattito e spesso, curiosamente, le persone che si proclamano difensori di quest'immenso territorio non hanno mai messo piede nella regione o semplicemente ci sono stati solo qualche volta da turisti.
In questo contesto, è sempre più difficile distinguere i fatti dalle fake news. Per questo motivo da La Nuova BQ puntiamo la lente di ingrandimento su questo vasto territorio sudamericano, per sfatare ogni mito amazzonico e contribuire a una vera compressione del Sinodo.
1) L'AMAZZONIA NON È SOLO IL BRASILE
L'opinione pubblica internazionale ha segnalato spesso il Presidente del Brasile Jair Bolsonaro come l'unico piromane distruttore dell'Amazzonia. Falso! Sebbene nell'immaginario comune si tenda ad associare la foresta amazzonica con il Brasile, questo paradiso naturale è talmente vasto da coinvolgere nove paesi sudamericani: Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Guyana Francese, Suriname e il già citato Brasile. Così, mentre tutti puntano il dito contro Bolsonaro, passano inosservati i socialisti Evo Morales (Bolivia) e Nicolas Maduro (Venezuela). Il primo ha legalizzato gli incendi delle zone amazzoniche, provocando un vero ecocidio; il secondo, porta avanti la distruzione dell'"Arco Minero del Orinoco" attraverso il sostegno dell'attività mineraria illegale.
2) L'AMAZZONIA NON È IL POLMONE DEL NOSTRO PIANETA
Nell'Instrumentum Laboris dell'Assemblea speciale del sinodo dei vescovi per la regione Panamazzonica, Papa Francesco cita i bacini dell'Amazzonia e del Congo come il "polmone del pianeta" (cf. LS 38). Ma cosa si intende per "polmone del pianeta"? Se l'implicazione è riferita alla produzione di ossigeno, è sbagliata! La foresta amazzonica produce appena il 6% dell'ossigeno del pianeta, secondo la rivista Science. Informazione che è stata ampiamente confermata da numerosi scienziati, perché nelle foreste antiche come quella amazzonica le piante hanno smesso di crescere e, nel bilancio CO2/O2, tendono a un maggiore consumo di ossigeno e di conseguenza non aiutano all'ossigenazione dell'atmosfera.
3) L'AMAZZONIA NON È VERGINE
Le aree della foresta con una lussureggiante vegetazione sono viste come simboli di ecosistemi vergini e non toccate da mani umane. Tuttavia, gli abitanti hanno selezionato e piantato specie arboree utili per le loro esigenze, cambiando per sempre le caratteristiche della foresta pluviale amazzonica. Quindi, "l'Amazzonia non è così incontaminata e intatta come sembra", ha confermato alla BBC lo scienziato Hans ter Steege, ecologo del Naturalis Biodiversity Center e dell'Università di Amsterdam. Dunque, oggi è noto che gran parte di quella regione è stata densamente popolata e, di conseguenza, sfruttata per millenni, avendo anche trovato tracce di grandi sviluppi culturali in Brasile, Perù e Bolivia.
4) L'AMAZZONIA NON È INDIGENA
Secondo l'Istituto di Ricerca Alexander von Humboldt della Colombia, la regione amazzonica ha attualmente una popolazione di circa 33 milioni di abitanti, di cui soltanto il 10% sono indigeni (tre milioni di persone). Al contrario, l'Instrumentum Laboris presenta un "cammino verso una Chiesa dal volto amazzonico e indigeno". Lo ha evidenziato il cardinale venezuelano Jorge Urosa Savino: "l'Instrumentum Laboris intende presentare l'intera popolazione amazzonica come se fosse indigena. Ma non è così!", ha affermato il prelato sudamericano e ha sottolineato la sua preoccupazione per la descrizione "romantica" del popolo amazzonico. "È una visione antropologica molto ottimista, che ignora le carenze delle culture indigene, che omette i suoi limiti e fallimenti", ha detto.
5) L'AMAZZONIA NON È UN PARADISO
Infatti, "l'Amazzonia non è, tanto meno, un paradiso, ma piuttosto assomiglia a un inferno", ha scritto il giornalista spagnolo Javier Reverte il 29 gennaio 2006, sulla testata El País. "La vita di coloro che abitano le altezze andine, le rive dei fiumi, le popolazioni e le giungle quasi inesplorate non è facile. Malattie, morsi letali di insetti e terrificanti ofidi, lo sfruttamento nel lavoro, i problemi generati dal traffico di droga e dalla miseria endemica fanno sì che l'aspettativa di vita degli esseri umani che abitano in buona parte della regione sia a una media di circa 50 anni e per gli indigeni è di 42 anni… Chi conosce l'Amazzonia sa bene che questa meravigliosa fonte di vita è allo stesso tempo un implacabile generatore di morte".
VIDEO: SINODO SULL'AMAZZONIA
La posta in gioco - Intervento del prof. Roberto de Mattei (5 ottobre 2019)https://www.youtube.com/watch?v=cchLZo8ts48
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