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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri
Quando ho visto la prima puntata de Il nome della rosa televisivo nel marzo u.s. ho realizzato che la nuova versione-kolossal (tra l'altro finanziata da RaiCinema, cioè dai contribuenti, tra cui io) era, se possibile, anche peggiore della precedente, il film di Jean-Jacques Annaud, uscito nel 1986 e tratto dal "palinsesto" di Umberto Eco. Il quale aveva preteso questa aggiunta nei titoli per chiarire che il film non poteva rappresentare tutta la complessità del romanzo bestseller omonimo. Ma torniamo alla miniserie: la primissima scena di cui dicevamo è scritta in campo nero con la quale si avverte lo spettatore che nel 1327, anno in cui si svolge la vicenda, l'imperatore Ludovico stava cercando di "separare la politica dalla religione". Di fronte ad un'affermazione del genere è previsto che le simpatie dello spettatore si orientino verso l'imperatore, lodevolmente impegnato a liberarsi da una Chiesa che vorrebbe imporre a lui e ai posteri uno stato teocratico di tipo, per intendersi, jihadista.
LA STORIA VERA
La storia, vera, dice però il contrario: tutta la lunga Lotta per le investiture, dal secolo XI al Concordato di Worms del 1122, fu combattuta perché era, semmai, l'imperatore a voler sottomettere la Chiesa decidendo lui la nomina dei vescovi. L'imperatore che regnava nel 1327, Ludovico IV il Bavaro, aveva deciso allora di tagliare del tutto il cordone ombelicale con la madre Chiesa. Infatti, volle farsi incoronare non dal pontefice, ma da un laico, quello Sciarra Colonna che aveva preso a schiaffi il papa Bonifacio VIII ad Anagni. Con quel gesto simbolicamente si chiuse il Medioevo cristianissimo. Bonifacio VIII lo comprese benissimo, tant'è che ne morì di crepacuore subito dopo. E la Chiesa, come previsto, finì alla mercé del potere politico: nel 1327 il pontificato, infatti, non stava più a Roma bensì ad Avignone, sequestrato e deportato in Francia dal re Filippo il Bello, il distruttore dei templari. E furono settant'anni di papi e cardinali guarda caso francesi, cui seguì il disastro del Grande Scisma (tre papi, ognuno pretendentesi legittimo). Il potere politico, privo della guida e del freno di un'autorità morale, divenne sempre più assoluto (ab-solutus, cioè svincolato da ogni limite), culminando infine nei totalitarismi del secolo XX. La fiction in tv ci presenta un inquisitore veramente esistito, Bernardo Gui, come la quintessenza del fanatismo più ottuso e ideologico, quasi antesignano delle SS e del Kgb. Ora, poiché nessuno storico si sente più di sostenere una fesseria del genere, ecco che una fiction ricavata da un romanzo ripropone la leggenda nera sull'Inquisizione e i "secoli bui".
MEDIOEVO FARO DI CULTURA
Al tempo dell'uscita del romanzo medievisti come Franco Cardini e Marco Tangheroni si spesero per ricordare che i monasteri medievali erano fari di cultura, non di ignoranza, e sfamavano i dintorni (è rimasto il detto "cosa passa il convento oggi?"); le biblioteche monastiche non avevano affatto passaggi segreti o libri inaccessibili, al contrario; il divieto di ridere lo ha messo in scena Eco, i monaci (veri) salvarono, copiarono e tramandarono anche opere pagane licenziose come quelle di Ovidio; Bernardo Gui (vero) fu mite inquisitore e fine intellettuale, stimato come il maggior storico del suo tempo; non si potevano accendere roghi su due piedi, la procedura inquisitoriale era lunga, complessa e garantista: gli eretici dolciniani non erano affatto dei Robin Hood, ma per il loro comunismo utopico saccheggiavano e uccidevano. Ancora: il papa Giovanni XXII mai si sognò di abolire i francescani; solo, disputava con gli eretici "fraticelli", francescani di frangia che intendevano instaurare la povertà assoluta; e i termini della questione sfociavano nell'eresia dell'abolizione, di principio, della proprietà privata. Eccetera.
ECO E IL BRACCIO DI FERRO
Ma, al di là della esigenze televisive (per esempio la figlia vendicativa di Dolcino non è mai esistita), il problema sta a monte, cioè nel romanzo di Eco (che la fiction tv ha risospinto in classifica). L'autore conosceva bene la storia di quel periodo ed anche il dibattito ecclesiale che lo contraddistinse. Ma scelse appositamente di fare un romanzo "gotico", una specie di Il pozzo e il pendolo di Edgar Allan Poe, farcendolo dei più grezzi luoghi comuni laicisti sui "secoli bui". La famosa "Chiesa povera" reclamata dai "fraticelli" e dai teologi al soldo dell'imperatore era di fatto una Chiesa ricacciata in sacrestia, una Chiesa che non aveva il diritto di giudicare il potere e le leggi che esso emanava. Il papa Giovanni XXII, ripetiamo, non cercò mai di abolire l'ordine francescano, ma solo di impedire che la disputa sulla povertà finisse in questo modo (cosa che poi avvenne con Lutero prima e Robespierre poi). Insomma, è in quell'antico braccio di ferro la radice del mondo moderno, non a caso Eco scelse di ambientarvi la sua opera.
ALLE RADICI DEL RELATIVISMO
E la rosa? Stat rosa pristina nomine (diceva un altro Guglielmo francescano, Ockam, ammirato dal protagonista del romanzo), nomina nuda tenemus: non abbiamo che nomi nudi, l'essenza della rosa è solo un nome. Ultimamente, la verità non esiste. Ed ecco fondato l'odierno relativismo. "L'unica verità è imparare a liberarci della passione insana per la verità", fa dire l'autore al suo protagonista. Non esiste neanche Dio, perciò. Gott ist ein lautes Nichts, Dio è un grande Nulla: così conclude il romanzo il narrante Adso da Melk, tedesco. Dal relativismo scettico di Ockam discende pure il positivismo giuridico, perché se non esiste la verità non esiste neanche un diritto naturale. Cioè, io non ho diritti per natura, perché esisto e sono persona; ma ho solo quei diritti che l'ordinamento giuridico mi dà. E, come li dà, così può toglierli. La "Chiesa povera", insomma, quella reclamata dai "fraticelli", non è una Chiesa che rinuncia ai suoi beni per darli ai poveri, ma una Chiesa che, di fronte ai poteri mondani, fa una, per così dire, "scelta religiosa", si ritira nel chiuso delle cappelle e dei santuari e lascia allo Stato completa mano libera. Intanto, però, il film-tivù è stato venduto in 130 Paesi, così la "leggenda nera" viene rispalmata su nuove generazioni. Un Medioevo tutto streghe, roghi, passaggi segreti, libri proibiti, frati fanatici e torture efferate. Tanto per ribadire che la realtà attuale è "il migliore dei mondi possibili".
Nota di BastaBugie: per conoscere meglio l'autore del romanzo Il nome della Rosa, clicca in uno dei due seguenti link per leggere il relativo articolo.
UMBERTO ECO, RELATIVISTA ANTICATTOLICO E ANTISTORICO... PER QUESTO ESALTATO DAL MONDO
Nel suo famigerato romanzo, Il nome della rosa, deturpa la verità storica su medioevo e inquisizione arrivando alla conclusione che Dio e la verità non esistono
di Aldo Vitale
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4114
MUORE UMBERTO ECO, IL FRUTTO PEGGIORE DELLA CULTURA TORINESE ED ITALIANA DEL XX SECOLO
L'autore de ''Il nome della rosa'' a 22 anni abbandonò la fede e diventò un nominalista, cioè non credeva che esistano verità universali (tanto meno Dio), ma solo nomi convenzionali
di Roberto de Mattei
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4125
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