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« Torna agli articoli di Luisella Scrosati
Chi è padrone della «mascella, uccide gli stranieri e facilmente spezza le catene dalle sue mani»; così Evagrio Pontico interpreta in senso spirituale l'episodio narrato nel capitolo 15 del libro dei Giudici, nel quale si racconta che Sansone, consegnato nelle mani dei Filistei, riesce dapprima a sciogliere i lacci che lo tenevano legato e poi, trovata una mascella d'asino, percuote con essa i suoi nemici, riuscendo ad ucciderne mille. Per i Padri la lotta alla passione della gastrimargia, detta comunemente gola, è di fondamentale importanza per poter affrontare nemici più agguerriti, in particolare la lussuria, perché, come scriveva san Giovanni Cassiano nelle Istituzioni cenobitiche, «è impossibile infatti che un intestino ripieno di vivande possa sostenere le battaglie dell'uomo interiore, e neppure risulta decoroso che affronti lotte più difficili uno che rischia di essere atterrato in combattimenti meno impegnativi».
Per queste ragioni San Benedetto dedica ben tre capitoli della Regola (dal 39 al 41) a normare la misura e i tempi dei pasti della comunità monastica. Si può notare come le indicazioni presenti nella Regola intendano colpire quella che Cassiano chiama «la triplice natura» della golosità: «la prima induce ad anticipare l'ora fissata dalla regola per la refezione; la seconda si compiace soltanto di riempire lo stomaco fino alla sazietà con qualsiasi pietanza; la terza invece si diletta di vivande molto ricercate e saporose».
1) RISPETTARE L'ORA STABILITA
San Benedetto indica con chiarezza l'orario del pasto quotidiano comune a tutti i monaci ed intima che «nessuno si permetta di prendere cibo o bevanda prima o dopo l'ora stabilita». È di fondamentale importanza che il monaco, come spiega Cassiano, non si lasci «indurre da nessuna attrazione» che lo porti a mangiare al di fuori dei pasti. Insomma, niente cioccolatini, cracker, caramelle, stuzzichini. La ragione? Non si deve cedere ai primi segnali di impazienza del nostro stomaco, perché sarebbe deleterio per il nostro spirito, che finirebbe sottomesso ai capricci della carne; ma anche per il nostro corpo che, alla lunga, finisce per presentare il conto di questo tipo di intemperanza. Dobbiamo mangiare, per carità, ma occorre farlo per bene quando è il momento, non prima o dopo. Occorre molta determinazione e preghiera, specie in questo nostro tempo in cui si trovano macchinette con snack ovunque, persino sul marciapiede del binario, anche se venti metri più in là ci sono bar, caffetterie e quant'altro.
2) QUANTO BASTA, SENZA ARRIVARE ALLA SAZIETÀ
Poi, è importante regolare la quantità del cibo. San Benedetto ha ben chiara la prudenza di Cassiano al riguardo: «diverso dev'essere il tempo, la misura, la qualità della refezione secondo la diversa condizione del corpo, dell'età, del sesso; unica invece dev'essere per tutti la norma della correttezza per quel che riguarda la mortificazione dello spirito».
Qual è questa norma della correttezza? San Benedetto vuole in ogni modo che si eviti l'intemperanza: «Nulla, infatti, è tanto sconveniente ad ogni cristiano quanto l'eccesso del cibo» (39. 8). Detto in altre parole: non bisogna alzarsi da tavola con pesantezza sullo stomaco. L'eccesso del cibo (e del vino) infatti, secondo i Padri, ostacola le facoltà superiori dell'anima e mortifica la preghiera; si diventa meno attenti nella lettura e nello studio, appesantiti nella preghiera, distratti nella vigilanza. Regola aurea per la quantità del cibo? Ce la suggerisce Cassiano: «saper mitigare l'uso delle vivande [...] in modo da mantenerci ancora, nella refezione, con un limite di appetito».
3) QUEL CHE PASSA IL CONVENTO, EVITANDO LA RICERCATEZZA
Infine, occorre evitare la ricercatezza nei cibi, che si traduce nel mangiare per il piacere, non per il reale bisogno. È la classica situazione nella quale di fronte ad una frittata con la cicoria diciamo che non abbiamo più tanta fame; ma quando poi ci accorgiamo che c'è anche il dolce, improvvisamente ci accorgiamo di avere ancora spazio nello stomaco... La regola aurea è mangiare quello che c'è nel piatto, senza fare storie se non ci piace e senza andare ad abbuffarsi di quello che ci piace. Ovunque veniamo adescati da cibi particolarmente saporiti, dove si mettono esaltatori di sapidità o zucchero in quantità esagerate; il risultato è che il cibo "normale" ci sembra non sappia più di niente... Non c'è altra soluzione che dare battaglia ed educarsi ad apprezzare le cose più semplici. La domenica e le feste sono giorni che possono essere "onorati" con qualche piatto speciale e con una maggiore disponibilità di cibo, ma sempre senza esagerare; la Regola del Maestro ne fa esplicita menzione. È interessante notare come in certi giorni sia concesso sollievo al corpo, ma non assecondando il capriccio, bensì seguendo il ritmo del calendario liturgico, di modo che anche il corpo partecipi al gaudio dell'anima.
RICEVIAMO TUTTO DA DIO, ANCHE IL CIBO
Il capitolo 43 della Regola ci fornisce un altro principio importante: «Alla mensa bisogna arrivare prima del versetto, per recitarlo con tutti, pregare e sedersi tutti insieme». È necessario premettere al pasto non una preghiera qualsiasi, né una preghiera spontanea, ma la preghiera prescritta ed è altresì necessario che tutti siano presenti al momento della preghiera. La stessa cosa vale per la preghiera di ringraziamento dopo il pasto. È talmente importante per San Benedetto questo rito che «chi per trascuratezza o per propria colpa giungerà dopo, venga ammonito fino a due volte; se in seguito non si correggerà, non gli si permetta di partecipare alla mensa comune [...] Alla stessa disciplina regolare sia sottoposto chi non sarà presente al versetto di ringraziamento che si recita dopo il pasto». Questa attenzione è decisiva per imparare a riconoscere che riceviamo il necessario di ogni giorno dalle mani di Dio e ringraziarlo per la sua Provvidenza; mettersi a mangiare senza questo riferimento a Dio, senza domandare la sua benedizione, senza ringraziarlo della sua bontà è il preludio ad una vita di arrogante autosufficienza. Ed è anche importante sintonizzarsi sui ritmi della famiglia, non sulle proprie voglie personali.
CONVERSARE A TAVOLA SENZA TV, RADIO O SMARTPHONE
Un'ultima indicazione ci viene dal capitolo 38. Durante i pasti San Benedetto prescrive la lettura spirituale; certamente, in famiglia questa norma è difficilmente applicabile, ma bisogna almeno esigere che, durante il pasto, il clima e le conversazioni familiari non vengano intralciate o interrotte dalla televisione, dalla radio, dall'uso degli smartphone. Inoltre, «i fratelli si servano a vicenda quanto occorre per mangiare e bere, in modo che nessuno abbia bisogno di chiedere»; è bene che in famiglia, a turno, ci sia chi è responsabile di portare a tavola le vivande, preparare le porzioni, affettare il pane quando manca, etc.
Ottima scuola per uscire dal proprio guscio e mettersi a servizio degli altri quotidianamente, concretamente.
Nota di BastaBugie: per approfondire il tema della televisione a tavola si può leggere il seguente articolo (e gli altri link in fondo a quello).
IL NONNO DITTATORE
Fiaba su come ritrovare il dialogo in famiglia a cominciare dai pasti in comune
di Giano Colli
http://www.filmgarantiti.it/it/contenuti.php?pagina=utility&nome=televisione
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