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«Lo Stato non deve assumere alcuna visione etica». È la tipica tesi di una (non l’unica) versione di liberalismo, che viene espressa quando qualcuno, nei dibattiti politici, per esempio sui Pacs-Dico-Cus, elabora delle argomentazioni di carattere etico. L’etica, si dice, non deve entrare nella politica, non deve ingerirsi, perché lo Stato deve essere moralmente neutrale.
Negli ultimi decenni, il più famoso sostenitore di questa versione del liberalismo è stato John Rawls. Secondo la riflessione di questo filosofo americano (ovviamente la stiamo semplificando e sintetizzando), lo Stato deve fare i conti con il pluralismo delle nostre società, deve prescindere da qualsiasi concezione etica e trovare delle regole per una convivenza ordinata nella società pluralistica. Siccome è impossibile l’unanimità sul piano delle concezioni del bene, bisogna ricercare l’unanimità, la convergenza, sul piano delle regole di convivenza, bisogna trovare delle regole condivise che rendano possibile a ciascuno perseguire la propria visione del bene e della vita, purché questa non leda gli altri.
In realtà, però, questo discorso presuppone implicitamente una concezione etica ed una certa visione del bene: infatti, in questa visione, la convivenza tra gli uomini è un bene che lo Stato deve tutelare. E da tale bene discende un dovere morale per lo Stato: quello di tutelare la convivenza.
In effetti, la neutralità etica è impossibile e qualsiasi Stato che legiferi non è mai riuscito ad essere davvero eticamente neutrale, né mai potrà riuscire ad esserlo. Ad esempio, se lo Stato vieta il furto o l’omicidio, è perché il legislatore presuppone, almeno implicitamente, che il rispetto della proprietà e della vita altrui siano un bene. In generale, se lo Stato legifera è perché presuppone che sia un bene farlo invece che non farlo.
Del resto, qualora nella vita sociale e nella emanazione delle leggi fosse realmente possibile prescindere dall’esistenza di un qualche bene e qualora non fosse un bene legiferare, allora le leggi di una determinata società, invece che essere fondate sul bene, sarebbero solo il risultato della convergenza degli interessi della maggioranza, a scapito della minoranza. In tal caso, però, chi trasgredisce le leggi perché non gli sono utili, non potrebbe essere biasimato moralmente: se io rispetto le leggi solo perché mi sono utili (e non perché esse sono moralmente buone e perché si ergono a tutela di qualcosa che è bene fare/rispettare, anche se ciò va contro il mio interesse), non appena esse non corrispondono più al mio utile-interesse (che potrebbe anche essere il mio mero non incorrere nelle sanzioni, nelle pene e/o nel semplice biasimo della comunità: pensiamo al caso in cui io sia in grado di violare le leggi senza essere scoperto), non c’è alcun motivo morale per cui io le rispetti.
Insomma, nei dibattiti politici sulla famiglia l’etica ha tutto il diritto di intervenire e di far sentire la propria voce. Per il bene della società.
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