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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri
Tutto cominciò con i divieti di «ricostituzione» inseriti nelle Costituzioni italiana e tedesca, che ovviamente comprendevano quelli di apologia di fascismo e nazismo in senso molto lato, tant'è che ancora oggi anche il saluto c.d. romano è perseguibile penalmente. A quel tempo sembrò una misura coerente e plausibile, ma era solo la prima crepa nel principio di libertà di espressione.
Ci volle qualche decennio prima che si arrivasse alla seconda crepa: il «negazionismo» come reato, che mise con le spalle al muro specialmente i tedeschi (che infatti furono i primi a scortare in galera i trasgressori). Gli italiani, avendo minori complessi di colpa sull'argomento, furono più riluttanti, perciò si ricorse al collaudato sistema di far fare il lavoro a un democristiano. E fu la Legge Mancino, ancora imperante contro chi si azzarda a sbagliare a parlare.
Come sempre accade alle dighe crepate, ecco la valanga a tempo debito: vietato usare le parole (in sé neutre e da sempre utilizzate) «negro» e «zingaro», cui si aggiunse un intero vocabolario di antichissime e fin lì pacifiche espressioni. Crollata la diga, l'alluvione. Che, come ogni marxismo culturale, parte dagli Usa: l'oligopolio dei massimi social si coalizza e può permettersi di tappare la bocca persino al Presidente. Per questo la Sinistra gramsciana (pochi lo sanno, ma Gramsci è uno dei filosofi più letti al mondo) ha sempre privilegiato l'occupazione dei media e dello spettacolo: nella democrazia di massa l'opinione pubblica è tutto.
Le parole, come ben spiegato da Orwell, esprimono concetti e i concetti si può addomesticarli modificando le parole. Così, si finisce col disprezzare quel che i giacobini hanno decretato disprezzabile e perfino col farsi piacere quel che prima ci faceva schifo. Chiamatela Finestra di Overton o come volete, ma il finale, coerente, è che il liberalismo muore strangolato dai suoi stessi princìpi.
Nell'Ottocento la Chiesa, col Syllabo, aveva avvertito, ma ormai a che serve poter dire «io te l'avevo detto»? Nel 1974 il democristiano Fanfani ammoniva: «Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l'aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!». Profeta? No, logico. E anche allora ci vollero dei democristiani, presidente e ministri, per far ingoiare a un popolo di sentimenti ancora cattolici la legge abortista. Nella solita America siamo al «nono mese» o addirittura alla «nascita parziale», col medico che, degno erede dei giacobini, letteralmente ghigliottina l'indesiderato.
Di fronte, poi, a chi elimina un figlio non voluto c'è chi fai i salti mortali quintupli per averne uno a tutti i costi, e ne ha «diritto», anche se omo, anche se deve farselo fabbricare su misura da terze gestatrici. Ed è, mi si permetta, quasi patetico aggrapparsi a statistiche che dimostrano quanto faccia male la pillola del giorno dopo, quanto l'utero in affitto sia periglioso per le donne indiane, quanto la cannabis frigga il cervello e lamentele del genere. Certo, portare anche una sola persona a ragionare è lodevole e va fatto, ci mancherebbe.
Ma quel che ormai ci si è spalancato di fronte è un mondo in cui il liberalismo è arrivato alle sue estreme, e coerenti, conseguenze: ognuno ha il «diritto» di fare quel che gli pare e che il portafogli gli consente. E chi ha qualcosa da obiettare è meglio per lui se tace, sennò c'è prima la gogna, poi, se insiste, il linciaggio con annessa morte civile, e infine la galera (per ora). Sì, perché i padri del liberalismo erano i giacobini, padri anche dell'«antifa» e del «cancel culture», con tanto di abbattimento di statue, sostituzione di calendario e di vocabolario. E in fondo alla discesa liberale c'è il Terrore.