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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri
Un primo «rinascimento islamico» si ebbe dopo la spedizione napoleonica in Egitto. Il pascià, solo formalmente dipendente da Costantinopoli, si chiese come mai poche migliaia di soldati francesi avessero potuto sbaragliare il suo intero esercito. Così, selezionò i giovani migliori e li mandò a studiare a Parigi, dove questi appresero concetti come il nazionalismo e la cattiveria dei Crociati. Queste le radici del nazionalismo arabo che il britannico Lawrence sfruttò contro i turchi nella Grande Guerra.
Francesi e inglesi proclamarono i loro protettorati e tracciarono i nuovi confini del Medioriente col righello. Ma ormai i semi dei nazionalismi erano stati gettati. Dopo l'ultima guerra mondiale, la decolonizzazione si arricchì dell'ultima ideologia imparata nelle università occidentali, il socialismo. Ma quel che determinò l'affermarsi del social-nazionalismo nei Paesi islamici via via decolonizzati fu l'ascesa di Nasser in Egitto tramite detronizzazione del re Faruq (all'incoronazione del predecessore Feysal nel 1932 la banda reale, tanto per chiarire, aveva intonato l'inno britannico).
Quattro anni prima erano nati i Fratelli Musulmani, che subito crebbero tra un popolo su cui, alla vecchia maniera feudale, pochissimi ricchi sfondati insistevano su una larghissima maggioranza pressoché indigente (situazione comune nel mondo arabo). Nel 1952 il golpe militare (così acquistarono l'indipendenza anche Algeria, Libia, Sudan, Siria, Irak, Turchia, Tunisia, Iran) proclamò la repubblica in Egitto, il Paese islamico più esteso.
Tra gli ufficiali golpisti presto si impose Nasser, che eliminò i capi dei Fratelli Musulmani e inaugurò un sistema durato fino ad oggi: a parte la breve parentesi di Morsi, Fratello Musulmano, tutti i presidenti erano militari: Neghib, Nasser, Sadat, Mubarak, al-Sisi. Ma quel che consacrò Nasser quale stella polare del mondo islamico fu la crisi di Suez del 1956, dettagliatamente narrata da Massimo Campanini e Marco Di Donato in Il canale delle spie. Storia della crisi di Suez (Salerno, pp. 150, €. 14).
Nasser intendeva sottrarre il Canale di Suez al dominio di fatto inglese e assicurarne l'importante rendita agli egiziani. Così, da una parte favoriva nascostamente i sabotaggi e dall'altra cercava di modernizzare l'esercito, le cui deficienze conosceva bene. Cercò dunque di comprare armi in Occidente, ma nessuno voleva vendergliene. Allora si rivolse all'Urss tramite il dittatore jugoslavo Tito, che a quel tempo era leader dei cosiddetti Paesi Non Allineati. La triangolazione fornì all'Egitto armamenti cecoslovacchi. Solo che i Fratelli Musulmani, per vendetta, erano ormai diventati i principali informatori degli inglesi. Questi ultimi allora si accordarono coi francesi (Nasser sosteneva segretamente l'insurrezione algerina). E con gli israeliani, preoccupati dai successi di Nasser: nel 1954, «Operazione Susannah: agenti segreti israeliani, travestiti da arabi, effettuarono attentati dinamitardi al Cairo e ad Alessandria e danneggiarono le infrastrutture britanniche sul canale di Suez, con lo scopo di far ricadere le colpe sui nazionalisti egiziani».
A quel punto Nasser giocò la sua carta e nel 1956 nazionalizzò il canale. Subito truppe inglesi, francesi e israeliane entrarono in Egitto e occuparono il Canale di Suez. Senza preavvertire l'alleato americano. Ma era anche l'anno dell'invasione sovietica dell'Ungheria e «l'iniziativa anglo-francese in Egitto aveva irrimediabilmente compromesso ogni possibilità di intervento occidentale a supporto degli insorti ungheresi». Eisenhower andò su tutte le furie. Infatti, dato che l'Urss appoggiava Nasser, c'era il concreto rischio di una terza guerra mondiale. Minacciò di bloccare le forniture di petrolio a Gran Bretagna e Francia e queste, impoverite dalla recente guerra con la Germania, dovettero ritirarsi. Per Nasser fu il trionfo nel mondo islamico. Ma con un'altra conseguenza: «Fu solo dopo il 1956 che gli arabi furono determinati a distruggere Israele».
Il colpo finale al panarabismo venne dal solito Israele con la guerra del 1967, che fu per l'Egitto una disfatta. Il successore, Sadat, dovette riappoggiarsi ai Fratelli Musulmani e da allora il declamatorio slogan «l'Islam è la soluzione» divenne, in crescendo, quel che abbiamo sotto i nostri occhi.
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