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« Torna agli articoli di Giuliano Guzzo
La polemica di alcuni giorni fa sulle linee guida della comunicazione «inclusiva» dell'Unione europea - poi ritirate - che sconsigliavano l'uso di nomi e festività cristiane, ha portato alcuni a gridare al falso allarme. L'Europa, hanno infatti voluto precisare alcuni fact-checker, ossia i «cacciatori di bufale» sempre pronti a mettere i punti sulle i, non ha mai inteso «abolire il Natale». Ed è vero. Ciò però non toglie come quelle linee guida fossero imbarazzanti, tanto che poi sono state revocate, e non toglie neppure come l'abolizione del Natale non sia affatto uno scenario impossibile. Per un motivo semplice: nella storia, è già stata decretata.
Neppure i più zelanti «cacciatori di bufale», categoria che spesso orbita nell'area politica progressista, potranno difatti negare il precedente - clamoroso eppure non molto conosciuto - dell'Unione Sovietica. In breve, accadde questo.
L'ABOLIZIONE DEL NATALE
Nell'aprile 1929, il Partito comunista - che aveva già preso a chiudere le chiese e a perseguitare i religiosi - fece un pesante passo avanti abolendo in toto il periodo delle festività natalizie e, con esso, l'albero, «usanza dei preti» accusato d'essere strumento con cui la Chiesa adescava i più piccoli, perché, si pensava allora, «la religiosità dei bambini inizia con l'albero di Natale», perciò occorreva evitare che si intossicassero col «veleno religioso».
Qualche anno dopo, nel 1935, in Unione Sovietica si decise di introdurre poi una festa sostitutiva, quella del Capodanno. Sì procedette in tal senso sulla scorta di quanto apertamente suggerito sulle colonne della Pravda, l'organo ufficiale del Partito, dall'influente uomo politico Pavel Postyshev (1887-1939), il quale proponeva di restituire ai bambini sovietici «l'atmosfera di fiaba e magia» da alcuni anni rimossa. Le festività di fine dicembre furono insomma ripristinate. Ad una condizione, però: nessun riferimento, neppure remoto, alla religione.
In effetti, già nel 1929 i sovietici furono a dir poco inflessibili nel loro intento di sradicare il Natale di Cristo dal loro immenso territorio. Basti qui ricordare che, nell'inverno di quell'anno, pattuglie di volontari si misero all'opera perlustrando palmo a palmo le città così come i villaggi. L'ordine era chiaro: garantire l'abolizione del Natale, osservando - con un'obbedienza al regime degna della penna di George Orwell - fin dentro le finestre delle case, al fine di assicurare compiuta esecuzione al decreto governativo. Ecco che allora il Natale si fece evento clandestino e, con esso, l'albero.
VIETATO L'ALBERO DI NATALE
Significativa, in proposito, la prima pagina della rivista L'ateo alla macchina da lavoro uscita nel 1931. Vi era ritratto un uomo che fissava un abete sui cui rami si trovava un cartello molto esplicito: «Divieto di tagliare l'albero di Natale». Ciò nonostante, come si diceva, l'usanza dell'albero tornò nel 1935. Ci fu però chi ritenne che la pur laicissima operazione presentasse dei rischi. Così ecco che apparvero sull'albero soldati, atleti, pionieri, esploratori e piloti. Per non lasciare nulla al caso, pure l'antica stella Cometa venne sostituita dalla stella rossa a cinque punte. La messa al bando delle festività natalizie, insomma, continuò all'insegna del massimo rigore.
Ciò però, come sappiamo, non ha impedito all'Urss, dopo decenni di feroci persecuzioni anticristiane, di crollare. E di crollare, tra l'altro, in tempi e modo tutt'altro che casuali. La fine dell'impero sovietico fu infatti stabilita l'8 dicembre 1991, festa dell'Immacolata Concezione, mentre la firma delle carte e la bandiera rossa ammainata dalla piazza rossa datano il 25 dicembre 1991. Precisamente il giorno di Natale. Fu Dio stesso, insomma, a voler metter la firma sulla fine dell'ateismo di Stato e della feroce utopia irreligiosa. Pur immobile nella sua mangiatoia, Gesù Bambino ha così battuto, in un solo colpo, Marx, Lenin e Stalin. Ma di tutta questa incredibile vicenda storica, chissà come mai, ancora oggi si fatica a parlare.
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