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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri
Qualcuno potrà chiedersi come mai il sottoscritto insista coi film. Il fatto è che la potenza di un racconto per immagini è tale da essere in grado di orientare, dài e dài, le teste. Gesù stesso usava le parabole, cioè racconti immaginari, e poco il discorso diretto. La saggistica erudita, anche se di fior di teologo, ormai non la legge nessuno. Ma tutti hanno ormai il cinema in casa.
Bene, il film di cui parlerò oggi è appena uscito e di sicuro lo troverete nei cineforum parrocchiali. Si tratta di Le bal des folles (il ballo delle pazze), della francese Mélanie Laurent, che ne è anche co-protagonista. La vicenda si svolge nel 1885 e comincia coi funerali-kolossal di Victor Hugo a Parigi (tre milioni di partecipanti). C'è anche Eugénie, figlia indisciplinata di un altoborghese retrivo e conservatore. Il quale non sa più come gestire la giovane, che a un certo punto afferma di parlare con gli spiriti dei defunti. E' troppo, e il genitore la fa rinchiudere alla Salpêtrière, il manicomio parigino che ospita cinquemila detenute ed è diretto dal famosissimo Jean-Martin Charcot.
Ora, qui c'è una piccola (piccola?) contraddizione nel film, forse una licenza poetica per stigmatizzare lo scientismo nascente giusto in quel secolo. Quel secolo, infatti, era anche il secolo dello spiritismo, degli ectoplasmi, dei tavolini ballanti e dei medium. Perciò non si capisce molto l'avversione di principio del padre di Eugénie per la possibilità che lei parlasse davvero coi defunti. Lo spiritismo era considerato, infatti, la via "scientifica" al soprannaturale, e per questo era molto praticato proprio da scienziati e scientisti.
Vabbè, torniamo a lei. Il film ricostruisce benissimo il clima alla Salpêtrière, con un attore somigliantissimo al vero Charcot. Questi, iniziatore della neurologia, era già un medico di fama internazionale, gloria di Francia (gli è stato dedicato anche un francobollo), con le sue lezioni-spettacolo sull'ipnosi seguite inevitabilmente da scrosci di applausi adoranti. Tuttavia, essendo la scienza neurologica ai primi passi, tutto intanto si risolveva in salassi, pazienti tenute per ore in vasche piene di ghiaccio, isolamento al buio per le più agitate, docce fredde con l'idrante, cinghie di contenzione e via "curando".
Su tutto aleggiava la parola magica della psichiatria del tempo: «isteria». Freud stesso fu allievo di Charcot prima di prenderne le distanze. Non ricordo chi disse che l'«isteria» fu a lungo il «cestino della carta straccia in cui si buttava tutto quel che non si sapeva spiegare».
Come oggi il «disturbo psicosomatico». A questo punto voi direte: ma che c'entra il titolo del film? La risposta è che effettivamente la Salpêtrière indiceva ogni anno un ballo di beneficenza cui partecipavano le pazienti ed era invitato le grand monde della capitale. Ma la riflessione è un'altra. Lo spettatore sa che quei metodi curativi erano semplicemente barbari, perché la scienza, per fortuna, li ha abbandonati quando ha scoperto di meglio.
Ma a quel tempo non c'era altro, non era colpa di nessuno. A quel tempo, erano, anzi, all'avanguardia. Ebbene, anche oggi dobbiamo sopportare un metodo sanitario d'avanguardia che nessuno sa se in futuro verrà definito barbaro. E anche oggi se qualcuno avanza dubbi viene lapidato come nemico della «scienza».
E se poi venisse fuori che forse avevano ragione i dubbiosi, i salassatori si giustificherebbero col dire che loro erano in buona fede. Come il Charcot del film, nel quale la co-protagonista - che con lui lavora - ben si accorge che i metodi del Luminare Semidio Intoccabile e Indiscutibile sono crudeli e servono a poco. Dunque - dice il film - anche a quel tempo si potevano avere dei dubbi, e anche a quel tempo si finiva, come la co-protagonista, in cella.
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