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« Torna agli articoli di Rino Cammilleri
Il film Madres, a breve nelle sale, è stato classificato come «horror» da chi, in Italia, deve dare una qualche sigla ai prodotti cinematografici; magari, ha creduto, in questo caso, di allettare lo spettatore (chi bazzica internet sa che i film dell'orrore sono, chissà perché, in cima alle preferenze). Ma il regista Ryan Zaragoza, di evidenti ascendenze latinos, ha voluto fare, in realtà, un'opera di denuncia.
La storia si svolge nelle campagne della contea di Los Angeles negli anni Settanta, dove la bassa manodopera è interamente composta da immigrati messicani. Il protagonista è anch'egli messicano e ha sposato una americana, ma di origine messicana. Lei, pur diplomata in giornalismo investigativo (negli Usa la chiamano laurea), ha accettato di seguirlo in una vita che immagina bucolica in una grande catapecchia in mezzo al nulla. È incinta del primo figlio.
Cominciano ad accadere strane cose; lei, mentre il marito è lontano al lavoro, fa strane scoperte tra gli oggetti dei precedenti locatari. Poi si accorge che quasi tutti i lavoratori messicani hanno moglie, però in giro non vede bambini. Forte del suo diploma (o laurea) comincia a indagare. Va negli archivi, scopre che chi l'ha preceduta nella grande casa è morta di parto. Poi, bazzicando la clinica, si chiede perché alle partorienti venga fatto firmare un foglio mentre sono sul lettino ginecologico: molte giovani donne parlano solo spagnolo, non si fidano, vogliono la presenza del marito; ma se non firmano non avranno assistenza, così cedono.
Che cosa c'è in quel foglio? Non si sa, la nostra protagonista intanto ha altro per la testa. Una misteriosa eruzione cutanea comparsale su un braccio e tendente ad allargarsi. Da buona figlia dei fiori californiana pensa subito ai pesticidi che ha visto usare nei campi anche da suo marito e tira le conclusioni ecologiche: sono i pesticidi a causare la moria di neonati. Lei, che è appunto incinta, si allarma e cerca di convincere il marito a denunciare la cosa. Ma quello teme soprattutto di perdere il lavoro: non può mostrarsi piantagrane in base a un semplice sospetto della moglie.
Bene, a questo punto lo spettatore è chiamato a ricordare la frase di Joseph Conrad posta a esergo del film: «Non è necessario credere in una fonte sovrannaturale del male: gli uomini da soli sono perfettamente capaci di qualsiasi malvagità». Si potrebbe obiettare a Conrad (piuttosto portato al tema, è infatti l'autore del celebre Cuore di Tenebra) che la propensione al male degli uomini non è insita nella loro natura, dal momento che ce ne sono tanti altri che fanno il contrario. Ma noi cattolici crediamo nel Peccato Originale; chi non ci crede è condannato a non spiegare niente.
Detto, questo, sì, il film è davvero dell'orrore, ma non certo paranormale. La protagonista scopre, infatti, che non c'entrano i pesticidi e nemmeno i fantasmi. Si tratta, banalmente, di eugenetica. Il foglio che le partorienti devono firmare è un'autorizzazione alla sterilizzazione: anziché farle partorire le fanno abortire, poi legano loro le tube. Perché i messicani fanno troppi figli. I titoli di coda danno le cifre di quel che succedeva nella California degli hippies, lo Stato più liberal degli Usa, a questo proposito e fin quasi all'altr'ieri.
Solo di recente il Canada ha fatto pubblica ammenda di aver fatto le medesime cose coi nativi fin quasi alla stessa epoca. Anche la Svezia. Anche il Giappone, dove i malformati sono da sempre emarginati (v. le prime scene di Sol Levante, 1993, con Sean Connery e Welsey Snipes). Cinema per cinema, il celebre Vincitori e vinti del 1961 sul Processo di Norimberga ebbe il coraggio di far dire all'avvocato difensore dei gerarchi (impersonato da Maximilian Schell) che l'eugenetica, prove alla mano, l'avevano inventata gli anglosassoni, i nazisti non avevano fatto altro che applicarla su larga scala. Coraggio: infatti nel remake del 2000, Nuremberg, non c'è più. Nel 1961 l'eugenetica era ancora una brutta cosa, nel Terzo Millennio no.
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