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Il corpo di Desmond Tutu verrà liquefatto, qualunque cosa ciò voglia dire. Bufala? Boh. Ormai non si capisce più niente e quello giornalistico è diventato un mestiere dinastico in via di patetica estinzione. Se è vero (e non è una errata traduzione dell'afrikaans «cremato», prima che qualche speaker francofilo dica «Tutù»), è quanto meno singolare per un arcivescovo (anche gli anglicani sono cristiani).
Premio Nobel per la Pace 1984, uno dei primi della svolta politicamente corretta di Oslo, fu fatto passare per il Martin Luther King degli africani. Il solito boomerang occidentale in piena Guerra Fredda, quando l'Urss cercava di «dialettizzare i contrasti» in Sudafrica, da cui, prima dell'allargamento del canale, passavano le grandi petroliere troppo larghe per Suez. La carriera di Tutu era stata stupefacente. Lasciati gli esami di medicina per il sacerdozio, dopo gli studi a Londra eccolo subito vescovo del Lesotho. Un anno, ed è segretario generale del Consiglio delle Chiese Sudafricane. E immediatamente comincia a viaggiare in tutto il mondo. Scopo di questi viaggi, propagandare il boicottaggio economico del Sudafrica reo di apartheid. E il tirannico governo di Pretoria che fa, gli revoca il passaporto? Per niente. E giù premi. Anche quello intitolato a Martin Luther King. Il Nobel, poi, gli vale anche l'arciepiscopato di Città del Capo. En plein.
La sua amicizia e collateralità con l'Anc (African National Congress) è nota e dichiarata. Anche se sui trenta membri del direttivo Anc una ventina erano membri del Partito comunista sudafricano. E mentre dal vicino Mozambico, in piena dittatura comunista, la gente scappava verso l'apartheid sudafricano, evidentemente considerato preferibile. L'Anc, per abbattere il regime, provocava disordini continui, conditi da distruzioni e saccheggi in stile Black Lives Matter ante litteram. I più anziani tra noi ricorderanno le foto dei famosi necklaces, le «collane» di pneumatici cosparsi di benzina e incendiati, messi al collo dei «collaborazionisti» neri con le mani legate dietro la schiena. Il primo presidente dell'Anc era l'altrettanto celebrato Mandela, premio Nobel pure lui e immortalato da Hollywood con un film agiografico. Aspettiamoci dunque un film su Tutu.
Scartabellando tra le notizie d'epoca ho trovato un bel florilegio di frasi storiche di quest'ultimo, compilato da Ettore Ribolzi per «Cristianità» nel 1987, dunque in corso d'opera. Mi permetto di riproporne alcune. Vancouver, 1983: «Trovo il capitalismo del tutto orrendo e inaccettabile. Io sono socialista». Zambia, 1985: «Se i russi venissero in Sudafrica oggi, allora la maggior parte dei neri che rifiutano il comunismo perché ateo e materialista li accoglierebbe come salvatori. Ogni cosa sarebbe migliore dell'apartheid». Stesso anno, alla rete televisiva Wnbc di New York: «Ma noi siamo i loro domestici, siamo noi che ci prendiamo cura delle case della gente bianca. Facciamo da mangiare e sorvegliamo i loro bambini. Alcuni domestici potrebbero essere reclutati e potrebbe essere loro fornita una fiala di arsenico» (l'intervistatore aveva fatto osservare che le armi le avevano i bianchi).
Uno dei pochissimi a non aver aderito alle sanzioni economiche contro il Sudafrica era stato Israele. E Tutu, nel 1984 invitato dal Gruppo dei deputati ebrei sudafricani, minacciava: «Secondo il Nuovo Testamento gli ebrei devono soffrire. Pertanto metteremo ciò in pratica, se prenderemo il potere». Infatti, «gli ebrei sono i maggiori sfruttatori dei neri, perciò devono soffrire». Concludendo, «non ci sarà simpatia per gli ebrei quando i neri prenderanno il posto dei bianchi». Plauso dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina, di Arafat, altro premio Nobel, anche lui per la Pace), il cui rappresentante nello Zimbabwe, Alì Halimeh, diceva: «Siamo convinti che il collasso del sistema del Sudafrica condurrà alla distruzione dello Stato sionista in Medio Oriente». Peccato che il Mossad sia sempre più furbo di loro.
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