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La Cina cercherà di usare sempre meno la pena di morte e per rendere la condanna «più umana» ucciderà usando l’iniezione letale e non la pistola. È uno dei 'buoni propositi' fatti dalla Corte suprema all’alba del 2008 che vedrà Pechino al centro dell’interesse internazionale con le Olimpiadi. È probabile che le dichiarazioni sulla 'edulcorazione' della pena di morte siano un tentativo di risposta alle critiche internazionali (e anche interne) che accusano la Cina di detenere il primato delle esecuzioni capitali: ufficialmente 1510 nel 2007; non ufficialmente: 10 mila. Resta da vedere se l’uso dell’iniezione letale non sia funzionale alla vendita di organi di condannati a morte, un mercato che – controllato dal governo – rimane fiorente. In ogni caso, il fatto nuovo è che la dittatura ex maoista è divenuta sempre più sensibile alle critiche internazionali e cerca di farsi accettare in qualche modo dal resto del mondo. È di questi giorni un altro fatto importante: la Cina ha promesso che dal 2017 si potrà («forse») attuare la piena democrazia ad Hong Kong. Dopo tante manifestazioni della popolazione dell’ex colonia britannica e le molte pressioni internazionali, Pechino ha dovuto proporre alcune date: non quelle richieste dalla maggioranza del popolo di Hong Kong, ancora imprecise («forse»), ma comunque delle date. In questo lavorìo per farsi accettare dalla comunità internazionale va ricordato l’impegno per diminuire le emissioni inquinanti, così importanti per la buona riuscita delle Olimpiadi; il controllo di qualità su cibi, giocattoli, sciroppi, dentifrici e mangimi dopo gli scandali e gli avvelenamenti avvenuti in Cina e all’estero, che hanno rischiato di far chiudere decine di fabbriche; il varo di nuove leggi sul lavoro, che costringono le aziende (soprattutto quelle straniere) a stilare contratti, pagare straordinari, depositare liquidazioni, costituire sindacati governativi. Anche il tentativo di dialogo con il Vaticano e la serie di ordinazioni episcopali 'concordate' rientrano in questa opera di distensione a largo raggio. In dicembre si è perfino tenuto un incontro del Politburo tutto dedicato alle religioni. Per la prima volta si è parlato di esse e del personale religioso come «collaboratori» dello sviluppo cinese e non come «oppio dei popoli». La Cina sta cambiando? Sì, anche se lentamente. Il varo della legge sulla proprietà privata lo scorso anno ha messo fine al comunismo; l’entrata nella Wto (Organizzazione mondiale del commercio) rende l’economia cinese più integrata, ma anche più dipendente da quella del resto del mondo. Questo spiega la nuova sensibilità cinese verso qualità, inquinamento, salari, corruzione. All’interno della comunità internazionale Pechino si scopre forte, ma anche fragile: la crescita del prezzo del petrolio e l’inflazione galoppante (un fatto nuovo dopo oltre 11 anni) la spingono a curare di più i rapporti economici con il mondo. Dopo 20 anni di crescita selvaggia, contadini, migranti e operai rimasti poveri chiedono di godere dei benefici dello sviluppo, pena scioperi, manifestazioni, scontri. E questo spiega la premura verso le leggi sul lavoro. E le religioni? Il Partito ha ormai riconosciuto che esse costituiscono una forza sociale con cui bisogna scendere a compromessi. Dopo decenni di persecuzioni, le conversioni religiose sono in aumento e l’incubo di Pechino è l’esperienza birmana: monaci buddisti e religiosi che si mettono a capo di un movimento di protesta. Meglio dunque venire a patti. Su un punto la Cina non sta cambiando: ogni trasformazione non deve toccare la supremazia del Partito. Per questo, chiunque difende contadini, operai, cristiani, uiguri e tibetani, sottraendo potere al Partito, è condannato. Non alla morte o ai lavori forzati, come ai tempi di Mao, ma all’isolamento e agli arresti domiciliari. L’unica cosa che il resto del mondo non deve fare è coccolare la Cina, 'comprendendo' le difficoltà nell’attuare riforme. A un Paese che ha sonde spaziali e la bomba nucleare si chiede di essere adulto.
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