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Possiamo ufficialmente dire che sia scoppiata la Barbie mania. In Italia il film che celebra la fashion doll più famosa del mondo ha incassato la bellezza di 7.7 milioni di euro in quattro giorni, guadagnandosi il record di miglior esordio dell'anno. Le sale sono letteralmente sold out e il fatto che a Milano, un lunedì sera di fine luglio, gli unici due posti disponibili fossero una terza fila alla proiezione delle 19.40 in lingua originale, la dice tutta. Soprattutto se si considera che gli italiani al cinema ormai, non vanno più da un pezzo.
Eppure legioni di fanciulle più o meno giovani sono accorse da ogni dove, richiamate da quel rosa shocking che è un po' come la madleine di proustiana memoria, in un attimo ti riporta agli anni spensierati dell'infanzia quando si poteva giocare a Barbie certi che non arrivasse Laura Boldrini a controllare il grado di empowerment. L'euforia passa subito perché la prima scena è un cupo remake di Odissea nello Spazio di Kubrick con delle bambine al posto delle scimmie, e dei bambolotti al posto delle ossa.
La voce fuori campo ci ricorda che in un oscuro passato, prima del femminismo faro di civiltà, le bambole esistevano solo per abituare le bambine all'unico ruolo che spettava loro nella società, quello di mamme, questo fino a quando, al posto del monolite, irrompe lei, una gigantesca Margot Robbie, Barbie appunto, in costume intero, tacco 12 e occhiale da sole. É a quel punto che, sulle note di Così parlò Zarathustra di Strauss, le bambine distruggono i loro bambolotti sbattendo violentemente i piccoli crani plastificati a terra mentre la voce narrante prosegue «Grazie a Barbie tutti i problemi del femminismo sono stati risolti».
I MASCHI SONO SOSTANZIALMENTE INUTILI
Poi si cambia scena, in un attimo siamo a Barbieland, la terra di Barbie. Un universo parallelo totalmente al femminile, con una presidente donna, un medico donna, una squadra di addette alla raccolta differenziata tutta al femminile, così come quella di operaie, in tuta rigorosamente rosa confetto. Barbie può essere tutto, insegnante, astronauta, infermiera, cantante, attrice, commessa, avvocato, psicologo, e ovviamente, come politicamente corretto insegna, oggi può anche essere di diverse etnie, taglie e anche in carrozzina. Ci sono tutte le opzioni possibili, tranne la mamma (l'unica "Barbie incinta" di Barbieland verrà prontamente mandata fuori produzione).
«Tu puoi essere qualunque cosa bambina - dice sempre la voce - mentre lui è solo Ken». A Barbieland infatti i Ken sono sostanzialmente inutili, letteralmente spiaggiati a pochi passi da un oceano di plastica, esistono solo in relazione alle Barbie e anche in quel caso devono accontentarsi di un angolino. Senza spoilerare troppo ad un certo punto, Barbie è costretta - per uno strambo mix che mette insieme piedi piatti, cellulite, ansia e pensieri di morte - a lasciare la sua terra tutta glitter e tacchi a spillo per andare nel mondo reale, per quanto si possa considerare reale Los Angeles. Qui la bambola con lo stacco di coscia più invidiato di sempre scopre amaramente che il mondo reale non è quello che lei aveva sempre immaginato, accipicchia, perché ancora il femminismo non ha avuto la meglio e i maschi hanno ancora in mano le redini del mondo e scopre anche che i suoi canoni estetici perfetti non hanno fatto che acuire il senso di frustrazione delle donne.
PER QUALE SCOPO SONO AL MONDO?
La pellicola è il racconto andata e ritorno di questo viaggio rocambolesco dove si alternano sentimentalismo e pistolotti sull'autodeterminazione, sull'emancipazione, sulla lotta al patriarcato. D'altra parte la regista Greta Grewig è la stessa che ha lavorato per Disney nel remake di Biancaneve, in cui in nani sono sostituiti dalle più inclusive "creature magiche", Biancaneve si salva da sola e il principe non c'è. Non va certo meglio in Barbie dove tutte le figure maschili sono ridotte a invertebrati zerbini incapaci di qualunque cosa, in primis ovviamente il povero Ken che elemosina attenzioni vere in un mondo plastificato dove non c'è nemmeno il sesso, Barbie infatti, come ripeterà più volte, non ha la vagina. E' a questo punto della pellicola che potrebbe affacciarsi lui, l'abbiocco.
Ma nel caso lo si superasse, in zona Cesarini il film potrebbe anche salvarsi, se non riscattarsi con una virata inaspettata verso la realtà, che fa capolino. Barbie come Pinocchio deve decidere se continuare a vivere a Barbieland o diventare una donna vera, qui si svolge un dialogo tra creatura e creatore, o meglio creatrice, ossia colei che ha inventato il giocattolo più famoso di Mattel, Ruth Handler, che rivela alla bambola di plastica che se sceglierà di diventare una donna vera dovrà fare i conti con cose difficili, tra cui la morte. Le due si prendono per mano e parte il brano What I was made for? (Per quale scopo sono al mondo?) e scorrono le immagini soffuse di una mamma che allatta, di momenti familiari, abbracci, scorci di vita quotidiana. Barbie abbandona le decolleté per una (inguardabile) Birkenstock Arizona rosa e si prepara per un incontro importante. Varca la soglia di un palazzo, respira ed è al suo primo appuntamento... con la ginecologa, ora d'altra parte, è dotata di tutto il corredo riproduttore.
La prima cosa che fa da donna è prendere atto che potrà generare. E dunque diventare madre.
Benvenuta sulla terra.
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