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« Torna agli articoli di Luisella Scrosati
La grave e prolungata crisi che stiamo vivendo nella Chiesa cattolica, venuta chiaramente alla luce durante gli anni del pontificato in corso, ha portato molti fedeli a cercare lidi considerati più sicuri. Gli anni della pandemia hanno ulteriormente esasperato la situazione, soprattutto dal punto di vista liturgico: obbligo di mascherine, nastri da carpentiere nella navata della chiesa, imposizione della Comunione sulla mano, gel, guanti e cotton fioc, ed altre trovate fantasiose dei preti che facevano a gara a realizzare la parrocchia più asettica del pianeta hanno portato molti all'esasperazione.
Come naufraghi alla ricerca della terra ferma, molti fedeli hanno comprensibilmente iniziato a frequentare cappelle nelle quali vi fosse non solo almeno la parvenza della normalità, ma anche una liturgia celebrata in modo decoroso e solenne. Le cappelle della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) hanno senza dubbio costituito quest'oasi per molti. E di questo bisogna rendere merito ai loro sacerdoti.
Tuttavia, molti non conoscono la situazione della FSSPX o perché non si sono affatto posti il problema, oppure perché, pur avendo sentito di qualche "irregolarità", sono stati rassicurati che sarebbero in tutto e per tutto cattolici dai fedeli di lunga data di queste cappelle e dai loro sacerdoti. La confusione è stata ulteriormente alimentata anche da alcune esternazioni di stimati vescovi e prelati che hanno cercato di sminuire la gravità della situazione della Fraternità, descrivendola come una semplice irregolarità canonica. La situazione che si è creata, insieme alle richieste di alcuni lettori, richiedono di dedicare una serie di articoli sulla dolorosa questione legata alla FSSPX.
Perché la verità è purtroppo molto differente da come viene presentata. La Fraternità, fondata da Mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), arcivescovo emerito di Tulle, fu eretta canonicamente come Pia Unione, ossia un'associazione pubblica di fedeli, a Friburgo il 1°novembre 1970, da Mons. François Charrière (1893-1976), vescovo di Losanna-Ginevra-Friburgo per un periodo di prova di sei anni. Questa configurazione canonica comporta che la Fraternità non poteva incardinare sacerdoti e dipendeva dall'autorità di Mons. Charrière. Il 21 novembre 1974, dopo una visita apostolica ordinata da Paolo VI, durante la quale i due visitatori avrebbero più volte pronunciato affermazioni errate o eretiche, Mons. Lefebvre pubblicò la famosa Dichiarazione nella quale rifiutava «la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono scaturite» ed affermava il «rifiuto categorico di accettazione della riforma» liturgica.
NEL 1976 MONS. LEFEBVRE VENNE SOSPESO A DIVINIS
Il 6 maggio 1975, il successore di Mons. Charrière, il vescovo Pierre Mamie (1920-2008) sopprimeva la FSSPX, con approvazione di Paolo VI. Il 23 luglio 1976 Mons. Lefebvre venne sospeso a divinis per aver ordinato dei sacerdoti senza le legittime lettere dimissorie; per i restanti anni della sua vita, Lefebvre continuava ad esercitare il suo ministero, incluse le ordinazioni sacerdotali, senza tener conto della sospensione che gli proibiva di esercitare ogni atto derivante dal potere d'ordine.
Il 30 giugno 1988 la decisione più grave: l'ordinazione di quattro vescovi contro l'espresso divieto di papa Giovanni Paolo II, che costò a loro e al vescovo consacrante la scomunica latæ sententiæ riservata alla Sede Apostolica, a norma del can. 1387. È importante sottolineare alcuni dettagli. Anzitutto, la Santa Sede, mediante la mediazione del Cardinale Joseph Ratzinger, aveva proposto a Mons. Lefebvre la possibilità di avere un vescovo per la FSSPX, scelto tra i sacerdoti della medesima, che sarebbe stato ordinato verso la metà del mese di agosto del 1988; Lefebvre dapprima accettò, ma il giorno dopo revocò il consenso al protocollo d'intesa. Seconda sottolineatura: le ordinazioni episcopali non vennero compiute semplicemente senza il mandato pontificio, ma contro la volontà del Papa, che aveva proibito in modo formale a Mons. Lefebvre di procedere con le ordinazioni, mediante un monitum inviato loro dal Cardinale Prefetto della Congregazione per i Vescovi il 17 giugno 1988. Infine, la scomunica prevista "è scattata" di per sé: non è dunque propriamente una sanzione inflitta dal Papa, ma una sanzione che Mons. Lefebvre e i quattro vescovi da lui ordinati si sono in qualche modo auto-inflitti.
Nel Motu Proprio Ecclesia Dei Adflicta, Giovanni Paolo II, spiegava che questo atto era stato «una disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa»; una disobbedienza «che porta con sé un rifiuto pratico del Primato romano» e pertanto «costituisce un atto scismatico». Il Papa rivolgeva poi un appello a «rimanere uniti al Vicario di Cristo nell'unità della Chiesa Cattolica», e a «non continuare a sostenere in alcun modo quel movimento. Nessuno deve ignorare che l'adesione formale allo scisma costituisce una grave offesa a Dio e comporta la scomunica stabilita dal diritto della Chiesa», a norma del can. 1364.
UN ATTO SCISMATICO
La FSSPX, dal canto suo, si è sempre difesa dall'accusa di scisma, ricorrendo ad una distinzione: Mons. Lefebvre non avrebbe compiuto un atto scismatico, in quanto non ha voluto trasmettere alcun potere di giurisdizione, ma solo il potere dell'ordine episcopale. In questo modo, non avrebbe usurpato quel potere che appartiene solo al Papa (giurisdizione), ma avrebbe comunicato il potere d'ordine che appartiene ad ogni vescovo e non solo al Papa. Quest'ultimo viene trasmesso con il rito delle sacre ordinazioni, mentre la giurisdizione mediante l'ingiunzione del Sommo Pontefice. Sulla base di questa distinzione, le consacrazioni episcopali conferite da Mons. Lefebvre non sarebbero state un atto scismatico - in quanto lo scisma si verificherebbe laddove si intenda trasmettere quello che solo il Papa può dare -, ma semmai un atto di disobbedienza, reso però necessario dallo stato di necessità provocato dalla crisi della Chiesa.
L'argomento non regge. Prerogativa del primato di Pietro non è semplicemente trasmettere la giurisdizione, ma decidere chi può essere ammesso nel Collegio dei Vescovi e chi no; in sostanza, il primato di Pietro include anche il diritto esclusivo di nomina del vescovo (che può concretamente realizzarsi in differenti modalità). Nell'esortazione Ad Apostolorum principis (29 giugno 1958), Pio XII ricordava che «i sacri canoni chiaramente ed esplicitamente sanciscono che spetta unicamente alla sede apostolica giudicare circa l'idoneità di un ecclesiastico per la dignità e la missione episcopale e che spetta al romano pontefice nominare liberamente i vescovi (...) ne consegue che vescovi non nominati né confermati dalla Santa Sede, e anzi scelti e consacrati contro le esplicite disposizioni di essa, non possono godere di alcun potere né di magistero né di giurisdizione (...) e gli atti di potestà di ordine, posti da tali ecclesiastici, anche se validi ... sono gravemente illeciti, cioè peccaminosi e sacrileghi».
Pio XII confermava che «nessuna persona o assemblea, sia di sacerdoti sia di laici, può arrogarsi il diritto di nominare vescovi; nessuno può conferire legittimamente la consacrazione episcopale se prima non sia certa l'esistenza dell'apposito mandato apostolico»; e sottolineava un principio fondamentale, di grande importanza per la questione che ci interessa: «Non si provvede ai bisogni spirituali dei fedeli con la violazione delle leggi della Chiesa».
Queste «leggi della Chiesa» non devono essere intese come mero diritto ecclesiastico, ma espressione di un diritto divino conferito a Pietro e ai suoi legittimi successori. Lo spiegava chiaramente Pio IX, nella sua condanna della chiesa armena: «Abbiamo ritenuto che non si dovesse tacere sul Nostro diritto di fare qualche elezione anche fuori della terna proposta, (...) poiché i diritti e i privilegi che le sono stati conferiti dallo stesso Cristo Dio possono essere sì contestati, ma non possono essere aboliti; e non è in potere di alcun uomo rinunciare ad un diritto divino, quando talvolta, per volontà di Dio, fosse costretto ad esercitarlo» (Enciclica Quartus supra, § 32).
Dunque, la nomina dei vescovi è a tutti gli effetti di un diritto divino conferito al Papa «dallo stesso Cristo Dio». Ora, le consacrazioni effettuate da Lefebvre sono state un atto scismatico a tutti gli effetti, in quanto hanno usurpato un potere che appartiene solo al Papa per diritto divino, ossia quello di nominare i vescovi, e non semplicemente quello di conferire loro la giurisdizione. La distinzione portata avanti dalla FSSPX risulta di fatto non pertinente ed errata.
Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Luisella Scrosati, nell'articolo seguente dal titolo "Lefebvriani: tolta la scomunica, lo scisma resta" spiega che le nomine episcopali di monsignor Lefebvre sono illegittime sotto tutti i punti di vista. E la scomunica tolta da Benedetto XVI era finalizzata a un cammino di riconciliazione, ma non cancella lo scisma. Come è stato per gli Ortodossi.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 19 agosto 2023:
Il riferimento all'esortazione Ad Apostolorum principis di Pio XII, che abbiamo citato nel precedente articolo, non è certamente l'unica rivendicazione da parte del Magistero dell'esclusiva prerogativa dei successori di Pietro di poter nominare, consacrare (normalmente tramite altri) e inviare i vescovi. Notare i tre aspetti distinti, che rientrano tutti nel primato del Papa.
Di fronte alla pretesa dell'Associazione patriottica cinese di «eleggere di propria iniziativa i vescovi, asserendo che tale elezione sarebbe indispensabile per provvedere con la dovuta sollecitudine al bene delle anime» e di fronte al conferimento della consacrazione episcopale ad alcuni ecclesiastici «contro un esplicito e severo monito diretto agli interessati da questa sede apostolica», Pio XII non si limitò a richiamare le leggi ecclesiastiche e a censurare la sottomissione di questi cattolici al regime comunista cinese, ma rivendicò per la Sede apostolica un preciso diritto divino, che include la stessa nomina dei vescovi. È in forza di questo diritto divino, tutelato dalle leggi canoniche, che il Papa escluse la possibilità che una qualche circostanza - inclusa la «dovuta sollecitudine al bene delle anime» - rendesse lecita la nomina di vescovi e la loro consacrazione contro la volontà del Papa.
Pio IX, come si è visto, trovatosi a dover fronteggiare le lamentele della chiesa armena per aver rifiutato la terna di nomi da loro proposti per una consacrazione episcopale, non fu da meno. Ed anche Pio VI, in un Breve, densissimo di testimonianze della Sacra Tradizione al riguardo, ribadì «l'obbligo che hanno i Vescovi di chiedere e di riportare dal Romano Pontefice la conferma» delle nomine episcopali, a quei vescovi che avevano sottoscritto l'Esposizione sui Principi della Costituzione del Clero di Francia durante il regime giacobino.
Sarebbe più che sufficiente quanto detto per comprendere che in nessuna circostanza è lecito procedere ad una nomina episcopale contro il parere della Sede Apostolica, appunto perché questa prerogativa appartiene per diritto divino ai soli successori legittimi di Pietro. Per questo Pio XII, nella medesima esortazione, applicava alle ordinazioni episcopali illecite la frase del vangelo di Giovanni (10, 1): «Chi non entra nell'ovile per la porta, ma vi sale per altra parte, è ladro e brigante». Il vescovo che nomina e consacra nuovi vescovi contro la volontà del Papa sta rubando una prerogativa che non gli appartiene. E nessuno, nemmeno il Papa, per nessuna ragione ha la facoltà di contraddire la legge divina.
Dunque l'argomentazione per cui Mons. Marcel Lefebvre non sarebbe scismatico perché non ha voluto trasmettere la giurisdizione, ma solo il potere d'ordine, non regge, perché anche la nomina episcopale e la consacrazione sono riservate alla Sede Apostolica, la quale poi ha altresì la prerogativa di confermare o non confermare l'avvenuta consacrazione; spetta infatti al solo Capo del Collegio accettare un vescovo nel Collegio o respingerlo. Purtroppo, Mons. Lefebvre ha usurpato il primato del Papa su tutta la linea.
L'argomentazione suddetta non è accettabile anche per un'altra ragione: il potere d'ordine e il potere di giurisdizione sono certamente distinguibili l'uno dall'altro, ma non sono separabili. Come aveva mostrato P. L. - M. De Blignières (in Réflexions sur l'épiscopat «autonome», Supplemente doctrinal n. 2 à «Sedes Sapientiæ», giugno 1987), «l'episcopato comporta una relazione alla reggenza della Chiesa che gli è essenziale». Seguendo l'insegnamento di San Tommaso, l'episcopato si distingue dal presbiterato in quanto «non ordina direttamente a Dio, ma al corpo mistico di Cristo» (Summa Theologiæ, Suppl. q. 38, a. 2, ad. 2). La pienezza del sacerdozio conferita al vescovo comporta che egli sia ordinato essenzialmente al governo della Chiesa. Rimandiamo all'articolo per tutte le opportune citazioni che fondano queste affermazioni; qui ne richiamiamo solo una: «Un grandissimo numero di documenti liturgici, nella preghiera di consacrazione episcopale, indicano il "carisma" del vescovo come una "grazia spirituale del capo"» (J. Lecuyer, cit. in Réflexions sur l'épiscopat «autonome»,nota 22).
È per questa ragione che il Pontificale prevede che il mandatum apostolico venga richiesto prima di procedere con i riti di consacrazione. L'ordinazione episcopale comunica un'attitudine al governo della Chiesa e dunque un'attitudine alla giurisdizione, anche se poi in concreto non tutti i vescovi esercitano una giurisdizione. Un vescovo senza alcuna destinazione al governo della Chiesa, privato volontariamente di questa destinazione, è in sostanza una contraddizione; ed un vescovo che trasmette un "episcopato autonomo" (ossia che vuole trasmettere solo il potere d'ordine), come il candidato che lo riceve, sta dividendo qualcosa che Dio ha voluto unire e dunque, nuovamente, agisce contro la legge divina.
In ogni caso, ipotizzando per assurdo la possibilità di separare il potere d'ordine da quello di giurisdizione, bisogna comunque ammettere che anche per la sola consacrazione interviene sempre la prerogativa del Papa di nominare il candidato.
Il punto è che, pur volendo non trasmettere alcuna giurisdizione, le consacrazioni del 1988 sono state effettuate precisamente con lo scopo di sottrarsi alla giurisdizione del Papa, che quelle consacrazioni lecitamente vietava; la FSSPX ha altresì scelto di permanere in questa indipendenza per "mantenere la Tradizione". Per quanto nobile possa essere il fine, si tratta pur sempre di un atto scismatico; perché lo scisma non è mai stato definito come la volontà di comunicare qualcosa che spetta al Papa (come la giurisdizione), ma come «il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti» (CIC, can. 751, ugualmente CIC/1917, can. 1325 e Summa Theologiæ II-II, q. 39, a. 1).
Questo passaggio è cruciale. Prima di tutto, uno scisma non è il rifiuto teorico del primato di Pietro (questa sarebbe un'eresia), ma il rifiuto pratico di sottomettersi alla sua autorità, quando viene esercitata in modo legittimo; uno scisma consiste nel fatto di essere separati dal governo della Chiesa cattolica, che è una condizione inderogabile per appartenere alla Chiesa. Ora, la FSSPX ha rifiutato questa autorità non solo effettuando ed approvando le consacrazioni episcopali del 1988, ma continuando a sottrarsi al governo del Pontefice e dei vescovi in comunione con lui, non tenendo in alcun conto le sanzioni canoniche (tutti i sacerdoti della Fraternità rimangono sospesi a divinis e dunque non possono esercitare legittimamente il loro ministero), rifiutando ogni protocollo di regolarizzazione.
Una gravissima usurpazione dell'autorità del Papa e dell'Ordinario è la Commissione Canonica San Carlo Borromeo, con la quale la FSSPX si attribuisce la facoltà di togliere censure, pronunciarsi sulla validità dei matrimoni, dispensare dai voti, usurpando diritti che spettano solo all'Ordinario o alla Santa Sede. Lo stesso Lefebvre, che teoricamente non voleva trasmettere la giurisdizione, in una lettera scritta all'allora Superiore Generale, Franz Schmidberger, il 15 gennaio 1991, esplicitamente dichiarava, in riferimento alla Commissione suddetta, essere necessario «istituire autorità supplenti», per tutto il tempo in cui «le attuali autorità romane sono impregnate di ecumenismo e modernismo e le loro decisioni e il nuovo Codice di Diritto canonico sono influenzati da questi falsi principi». Lefebvre in sostanza aveva inteso dare alla FSSPX la giurisdizione necessaria per gli atti di cui sopra, contraddicendo se stesso e usurpando le prerogative della Sede apostolica e dei legittimi Ordinari.
I membri della FSSPX rifiutano altresì di comunicare in sacris con quanti sono in comunione con il Papa e il vescovo locale, anche quando si tratta del rito antico della Messa; la Fraternità erige chiese, seminari, monasteri e consacra altari senza tener conto della legittima autorità del vescovo locale su queste cose. In poche parole, la FSSPX si è organizzata precisamente per poter essere indipendente dalla giurisdizione del Papa e dei vescovi legittimi; ma il vero nome di una totale indipendenza dall'autorità del Papa e del vescovo locale è "scisma".
Né lo scisma viene meno per il fatto che Benedetto XVI, il 21 gennaio 2009, aveva tolto la scomunica ai quattro vescovi consacrati da Lefebvre - Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson (non più membro della FSSPX) e Alfonso de Galarreta - spiegando il senso di questo atto, ossia togliere il «disagio spirituale manifestato dagli interessati a causa della sanzione di scomunica», per favorire «i necessari colloqui con le Autorità della Santa Sede» sulle questioni ancora aperte (a suo tempo).
La remissione di una scomunica non pone da se stessa fine ad uno scisma; uno scisma termina quando vengono meno le posizioni scismatiche, come quelle sopra brevemente elencate, che invece nella FSSPX persistono e dimostrano così una contumacia. Un esempio su tutti: il 7 dicembre 1965, Paolo VI tolse le scomuniche che pendevano sugli Ortodossi dallo scisma del 1054. Questo atto non ha posto fine allo scisma, evidentemente, perché gli Ortodossi continuano a non riconoscere né in linea teorica né in pratica le prerogative del Papa. Non è una contraddizione: questi pontefici hanno voluto togliere gli impedimenti canonici ad una piena comunione, perché le realtà interessate potessero fare atti concreti per entrare nella comunione con la Chiesa cattolica. Ma questi passi non sono stati fatti. Il rifiuto da parte dell'allora Superiore Generale della FSSPX, Mons. Bernard Fellay, di accettare il protocollo di accordo, così come il fatto che nulla è cambiato nelle loro posizioni, fa rimanere la Fraternità in una situazione scismatica.
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