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« Torna agli articoli di Luisella Scrosati
Le sanzioni adottate dal vescovo di Livorno, monsignor Simone Giusti, ai danni del parroco di San Ranieri in Guasticce, don Ramon Guidetti, hanno fatto il giro del mondo. Il 1° gennaio 2024, il Cancelliere vescovile, don Matteo Giavazzi, ha comunicato al clero e ai fedeli diocesani che don Guidetti è incorso nella scomunica latæ sententiæ per il fatto di aver compiuto «un atto di natura scismatica» durante la Celebrazione eucaristica del 31 dicembre 2023, «rifiutando la sottomissione al Sommo Pontefice e la comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti».
Cerchiamo di capire come sono andate le cose. Durante la Messa del 31 dicembre scorso, don Guidetti ha pronunciato una lunga omelia di circa venti minuti, salutata con un applauso finale, nella quale il parroco ha sostanzialmente spiegato che Benedetto XVI non avrebbe mai rinunciato al munus petrino e dunque sarebbe rimasto papa fino al giorno della sua morte; Francesco non sarebbe dunque un vero papa. Nell'omelia don Guidetti ha salutato «padre Alessandro Maria Minutella», il sacerdote palermitano scomunicato nel 2018 e dimesso dallo stato clericale nel novembre del 2021, come «paladino della verità». Quindi ha nominato i sette sacerdoti che si sono uniti a Minutella nel Sodalizio Sacerdotale Mariano, secondo don Guidetti, «i Magnifici sette», tutti colpiti da sanzioni ecclesiastiche.
Verso la metà dell'omelia, don Guidetti ha iniziato ad alzare i toni, riferendosi alla «falsa chiesa, del signor Bergoglio e dei suoi mercenari», criticando preti, vescovi, cardinali «che continuano a girarsi i pollici e sanno tutto», ossia «sanno che c'è uno scisma da dieci anni, sanno che c'è la massoneria che governa, sanno che costui non è il papa, lo sanno ma tacciono. E poi ti tacciano». Quindi il riferimento a Bergoglio come all'«innominato, non lo nomino (...) massone, un gesuita massone legato ai poteri mondialisti, usurpatore e antipapa». E l'annuncio: «Ed ecco che da domani, a questi valenti sacedoti si aggiunge il sottoscritto».
SCOMUNICA LATÆ SENTENTIÆ
Queste le parole più significative dell'omelia. Mons. Giusti ha aggiunto alcuni dettagli della vicenda nella sua intervista a Il Telegrafo di Livorno; don Ramon «era stato già ammonito a non compiere quell'atto prima di Natale e alla fine aveva convenuto di soprassedere alle sue intenzioni, capendo la gravità della cosa. Poi alla messa del 31 dicembre la sua dichiarazione di rottura, a quel punto inattesa, contestando l'elezione di Papa Francesco, il suo ministero e la sua autorità, celebrando non in comunione con il Papa, con atteggiamento scismatico». Il vescovo di Livorno chiarisce dunque che il sacerdote era già stato richiamato ed aveva, apparentemente, accettato il richiamo. Inoltre, don Guidetti ha celebrato una Messa non una cum, ossia una Messa nella quale, durante la Preghiera eucaristica, non si è menzionato il Papa, come avviene nel tempo di sede vacante.
Continua il vescovo: «L'ho chiamato lo stesso 31 dicembre dopo la messa e non ha risposto. Lui aveva già fatto i bagagli e aveva lasciato le chiavi non a me, ma ad una signora della parrocchia, andandosene via subito dopo, risucchiato in gruppi scismatici che si contrappongono alla Chiesa. Era stato tutto preordinato». Dunque, la decisione presa dal vescovo di rendere nota la scomunica latæ sententiæ, nella quale il sacerdote è incorso ipso facto per scisma, appare motivata da più atti di natura scismatica compiuti dall'ex parroco: dichiarazione pubblica che Francesco non è papa, rifiuto di celebrare una cum, abbandono repentino della parrocchia per unirsi a un sodalizio scismatico.
La conferma dell'adesione ad uno scisma, proviene dalla bocca dello stesso don Guidetti, che così ha commentato le sanzioni del vescovo di Livorno: «Ci farò una bella cornicina e lo appenderò al muro e sarà qualcosa di cui mi vanterò ben volentieri», disconoscendo in questo modo l'autorità del proprio vescovo.
Per quanto sia indubbiamente indisponente vedere sanzioni che scattano con estrema velocità verso quei sacerdoti che criticano l'attuale pontificato, mentre non vengono comminate o addirittura tolte ad abusatori plurimi ed eretici, rimane il fatto che le sanzioni prese da mons. Giusti sono corrette. Questo punto va chiarito: don Guidetti non ha semplicemente criticato, anche con toni forti, azioni, parole, documenti di questo pontificato, ma ha usurpato il giudizio della Chiesa su chi sia o non sia il legittimo pontefice. Il problema non è avere dubbi in foro interno, purché fondati; ma riconoscere che si tratta appunto di dubbi, che attendono un giudizio da parte della sola autorità che si può pronunciare in questo ambito: la Chiesa.
SAN TOMMASO D'AQUINO
Oltre alla chiara posizione di san Roberto Bellarmino sulla questione del papa eretico (vedi nota in fondo a questo articolo), bisogna ricordare la posizione classica di san Tommaso (cf. Summa Theologiæ III, q. 82, a. 9): è solo a partire dalla sentenza della Chiesa che diviene lecito e obbligatorio non comunicare più con scismatici, eretici e scomunicati, ossia non partecipare alle loro messe e non ricevere da loro i sacramenti. Discorso analogo vale per la legittimità di un papa, che è stato riconosciuto tale dall'universalità della Chiesa, in quanto dubbi sono stati sollevati solo molto tempo dopo (sul finire del 2015 circa) e non hanno mai trovato eco tra i membri legittimi dell'episcopato. Prima di una eventuale sentenza della Chiesa, chiunque si arroghi il diritto di giudicare della legittimità di un papa usurpa il giudizio della Chiesa.
Rimane un altro fatto, che deve far riflettere. L'omelia di don Ramon è stata accolta da uno scroscio di applausi. Né si può tacere che vari movimenti scismatici, incluso il Sodalizio Sacerdotale Mariano, stanno vedendo affluire sempre più simpatizzanti. È un dato di fatto: la sempre più marcata confusione e grave problematicità di questo pontificato sta spingendo sempre più persone fuori dalla Chiesa. E questo problema non lo si risolve sanzionando, seppur giustamente, uno o più sacerdoti. La rabbia e l'agitazione stanno crescendo a dismisura tra i fedeli e il clero, portando ad assumere posizioni che, anziché soccorrere la Chiesa, la feriscono ancora di più, oltre che mettere in serio pericolo la salvezza delle anime. Fiducia supplicans è stata una ulteriore tragica e colpevole spinta in questo senso.
I pastori della Chiesa devono assumersi la responsabilità di questa parte del gregge, andare loro incontro per tutte le loro legittime richieste, senza continuare a inacerbirsi contro questi fedeli, i quali hanno bisogno di liturgie sacre, di sana dottrina, di vicinanza effettiva ed affettiva da parte dei loro pastori. E devono farlo capire a papa Francesco, che è all'origine di misure e parole sempre più esasperanti.
Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Luisella Scrosati, nell'articolo seguente dal titolo "Un Papa eretico? Cosa ne pensava san Roberto Bellarmino" parla del giudizio su un eventuale Papa eretico. San Bellarmino aveva chiaro che nessuna autorità umana può deporre un Papa.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 3 dicembre 2023:
La condanna post mortem di papa Onorio è un fatto storico. Non è affatto certo che tale condanna fosse ben meritata, ma è invece pacifico che essa si trovi nero su bianco negli atti di tre concili, approvati dai romani pontefici. La questione merita una "digressione".
Quella del "papa eretico" è certamente una possibilità remota, ma non per questo irreale o impossibile. Ed è una vexata quæstio, che da ipotesi teologica è divenuta, nell'ultima metà di secolo, motivo di numerosi scismi. Il punto critico e forse insuperabile del problema sta nel principio inviolabile per cui prima sedes a nemine iudicetur - la prima Sede, ossia la Sede Apostolica, non può essere giudicata da nessuno. Dunque, se non può essere giudicata, chi può deporre il papa eretico?
Cercando di semplificare, senza tradire il pensiero soggiacente alle differenti correnti contemporanee sedevacantiste, la loro tesi di fondo è che un papa manifestamente eretico si separa da sé dalla Chiesa, decadendo così dall'ufficio petrino. Non si tratterebbe dunque di giudicare il papa, ma semplicemente di discernere che il papa non è più tale, a causa della sua eresia. Né si tratterebbe di deporlo, ma di prendere atto che si è deposto da sé con la propria eresia o, se si preferisce, che è stato deposto dalla legge divina.
Questa posizione assomiglia molto alla seconda delle cinque tesi discusse da san Roberto Bellarmino, nel suo De Romano Pontifice, secondo la quale il papa eretico è deposto ipso facto da Dio e quindi separato dalla Chiesa, della quale dunque non è più papa. La Chiesa dunque non giudicherebbe propriamente il papa, perché "il papa" caduto in eresia non è più papa e può pertanto essere giudicato. Il punto è che Bellarmino riferisce sì questa tesi, ma per respingerla.
Richiamiamo due punti. [...] Papa Adriano II (792-872), durante il Concilio di Costantinopoli IV (869-870), aveva dato una spiegazione sulla liceità della condanna di papa Onorio (585-638). Il Papa precisava che «né i patriarchi né gli altri vescovi [avevano] diritto di emettere alcun giudizio su di lui a meno che l'autorità della stessa prima sede pontificia non ne avesse dato il consenso»: è in sostanza il principio che la prima Sede non può essere giudicata da nessuno. Ma nel caso di Onorio si trattava comunque di un papa defunto, e dunque un legittimo successore aveva tutta l'autorità per pronunciare su di lui un giudizio e una condanna. Non risulta invece un caso, nella storia della Chiesa, in cui un papa in carica sia stato deposto per eresia.
Ma Adriano aveva affermato anche un'altra cosa: che l'accusa di eresia è l'«unica ragione per cui anche gli inferiori possono legittimamente giudicare i propri superiori». Come conciliare questa posizione con il principio che la Sede Apostolica non può essere giudicata da nessuno?
Un notevole contributo alla questione è stato offerto da un dettagliato studio di Robert Siscoe e John Salza, The True Meaning of Bellarmine's Ipso Facto Loss of Office Theory for a Heretical Pope. Come si evince dal titolo, si tratta di una disamina per comprendere il reale pensiero del Bellarmino sul papa eretico e sulla sua perdita dell'ufficio petrino ipso facto, ossia per lo stesso fatto dell'eresia, che può aiutare a chiarire alcuni aspetti controversi.
Partiamo da una constatazione: coloro che ritengono che la Sede Apostolica sia vacante, sostengono che l'eresia del papa (o dei papi) sia notoria; e dunque non vi sia alcun dubbio sul fatto che il papa sia deposto ipso facto. Il minimo che si possa osservare è che tra costoro non vi è affatto consenso su quali papi debbano essere considerati legittimi e quali no: alcuni ritengono che la Sede sia vacante dalla morte di papa Benedetto XVI, altri da Paolo VI, altri ancora da Giovanni XXIII, e non mancano quelli che spostano ancora più indietro l'inizio della Sede vacante. Evidentemente l'eresia manifesta non è così manifesta. Se poi pensiamo che la stragrande maggioranza dei cattolici, inclusi vescovi e cardinali, hanno riconosciuto tutti questi papi, il problema diventa ancora più marcato.
Il punto è che san Roberto Bellarmino, seguito da molti altri teologi di fama, come Francisco Suárez e Giovanni di San Tommaso, afferma chiaramente la necessità di un previo giudizio della Chiesa, tramite un concilio o una riunione dei cardinali, che dimostri inequivocabilmente l'eresia. Si tratta di un cedimento verso la posizione conciliarista (che ritiene il concilio superiore al papa)? O di una contraddizione al principio che la prima Sede non può essere giudicata?
Non esattamente. In un'altra opera, il De Concilio, Bellarmino distingue tra due giudizi: un giudizio discrezionale, che discerne la situazione, e un giudizio coercitivo, che impone l'obbedienza ad un comando. Nel caso di eresia o di dubbio su chi sia il papa legittimo, quando si ha la copresenza di più "papi", o ancora quando un papa è accusato di crimini gravi, i vescovi e i cardinali possono riunirsi per dirimere la questione. Un tale eventuale concilio, non avendo l'autorizzazione del papa, sarebbe pertanto un concilio imperfetto, ossia impossibilitato a pronunciarsi su qualsiasi altro argomento dottrinale o disciplinare. Questo pronunciamento, precisa Bellarmino, non ha però potere coercitivo. Che cosa accade, dunque?
Il cardinale gesuita ha ben chiaro che solo Dio ha il potere di deporre un papa; ma suggerisce un illuminante parallelo tra la modalità di elezione del pontefice e la sua deposizione. Sono i cardinali ad eleggere il papa, ma è solo Dio a costituirlo tale nel momento della sua accettazione; vi è dunque una cooperazione tra Dio e gli uomini: prima i cardinali eleggono, poi, all'atto dell'accettazione, Dio trasmette al nuovo papa i suoi poteri, al punto che mai si ha un papa se non c'è la mediazione umana. Sul versante della deposizione, si dovrebbe trovare lo stesso ordine: i cardinali o i vescovi in concilio dichiarano (con giudizio discrezionale, non coercitivo) l'eresia del papa e solo allora, e mai senza questa mediazione, Dio lo depone.
Qualunque sia la difendibilità di questa posizione, che non risolve tutti i problemi, è però chiaro che la deposizione ipso facto del papa eretico necessita di questo passo intermedio, che mantiene la mediazione, voluta da Dio, della Chiesa, la quale impedisce che ciascuno si eriga a giudice dell'eresia del papa, provocando inevitabilmente dolorosi scismi. Secondo Bellarmino è chiaro che nessuno può dichiarare eretico un papa senza che prima la Chiesa lo abbia giudicato tale. E questo tipo di giudizio (non coercitivo) permetterebbe, a suo avviso, di non contraddire la non giudicabilità della prima Sede, né di cadere in una forma di conciliarismo mitigato.
Il criterio riguarda in generale qualsiasi presunto eretico o scismatico; san Tommaso spiega infatti che il rifiuto di comunicare con costoro riguarda solo quanti «eretici o scismatici o scomunicati o anche peccatori, (...) vengono privati dell'esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa» (Summa Theologiæ III, q. 82, a. 9), non secondo un giudizio personale, fosse anche corretto.
Finché dunque questo giudizio della Chiesa - e non di chiunque - non sia stato pronunciato, il papa rimane in carica e a lui si deve obbedienza, quando comanda ciò che può comandare. Questo è un altro punto chiarissimo in Bellarmino, molto più condiviso che non la sua tesi precedente. Il papa ha una sfera nella quale il suo comando è legittimo, e dunque obbligante. Ma questa sfera non è infinita né indeterminata. Tant'è vero che egli afferma, in un noto passo, che «come è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime o perturba l'ordine civile, e, soprattutto, a quello che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina ed impedendo la esecuzione della sua volontà: non è però lecito giudicarlo, punirlo e deporlo, poiché questi atti sono propri di un superiore» (De Romano Pontifice, lib. 2, c. 19).
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