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« Torna agli articoli di Mario Palmaro

Giovannino Guareschi ne ha viste tante nella sua vita: la guerra, il lager, i comunisti, il carcere a Parma per la denuncia di De Gasperi, la conseguente “vendetta” democristiana patita nella vecchiaia. Ne ha viste tante, il papà di Peppone e don Camillo, e siamo sicuri che un uomo della sua rettitudine e della sua fede – una fede incrollabilmente cattolica apostolica romana e pacelliana - non si è mai lasciato impressionare tanto facilmente. Però, certe cose scritte sul suo conto dopo la morte – avvenuta a Cervia il 22 luglio del 1968 – sono quelle che fanno più male. Giovannino sarà anche corazzato, e da lassù si starà facendo una delle sue risate discrete, sotto gli inseparabili baffoni. Va bene, lui “guarda e passa” senza curarsi di loro, come insegna il grande padre Dante nel canto III dell’Inferno. Ma tutti coloro che continuano a leggerlo e ad amarlo, in questi giorni non possono abbozzare, come non possiamo tacere noi, che da anni ne studiamo la figura e l’opera.
Ma che cosa è mai capitato al nostro Giovannino, questa volta? Sui giornali è uscita la notizia che lo scrittore parmense ha avuto in giovinezza un figlio naturale, Giuliano Montagna, che a dicembre dell’anno scorso ha ottenuto da un tribunale il riconoscimento della paternità.
Ora, qualcuno si è buttato su questa notizia con l’intenzione – dichiarata o sottintesa – di gettare qualche schizzo di fango su Guareschi. Quasi che la faccenda del figlio “segreto” potesse sporcare il ricordo dello scrittore italiano più venduto e tradotto nel mondo. Una bella vigliaccata, che ignora innanzitutto i fatti. Le voci intorno a un figlio naturale erano già di pubblico dominio nel 1998, bastava leggersi la biografia “Una storia italiana” (Alessandro Gnocchi, Rizzoli). Poi ne abbiamo parlato nel nostro “C’era una volta il padre di don Camillo e Peppone” (Piemme, 2008). Secondo fatto ignorato dai giornali: Giovannino ebbe quel figlio nel 1933, cioè prima di conoscere sua moglie Ennia e prima di avere Alberto e Carlotta. Terzo: Giovannino era sinceramente convinto che quello non fosse suo figlio, tanto è vero che nel suo diario intimo scritto nel lager, il momento massimo della verità, parlò solo di tre figli: Alberto e Carlotta – che “lo legavano alla vita” – e quello perso dalla moglie che “lo legava alla morte”.
Ma il commento che più indispone è quello apparso giovedì 16 su Avvenire, nell’inserto culturale Agorà. La scoperta del figlio naturale, secondo il quotidiano cattolico, sarebbe la prova che Guareschi non fu affatto “il campione di un cattolicesimo integerrimo e persino tradizionalista”. Altro che “santino, sia pure con i baffi”, altro che “cavaliere di un anti-comunismo adamantino quanto strumentalizzabile” spiega Avvenire: alla luce di questo fatto, Guareschi “non fu affatto quel modello di «apologeta cattolico e tradizionalista» che tanti scritti, proprio lo scorso anno, hanno tentato di accreditare”.
Le decine di migliaia di visitatori della mostra dedicata a Guareschi al Meeting di Rimini dell’anno scorso sono avvertiti. Ora, ci piacerebbe sapere in quale modo la scoperta di questo peccato commesso in gioventù (il reo aveva all’epoca 25 anni), sia in grado di modificare il giudizio sulla “poetica” e sull’uomo Guareschi. Curioso doppiopesismo di certi intellettuali cattolici: pronti a chiudere un occhio – e anche tutti e due – sulla vita di autori incensati oltre il lecito; ma poi impietosamente inflessibili di fronte al povero Giovannino “ragazzo padre”. Pier Paolo Pasolini o Giovanni Testori osannati, a prescindere da alcuni aspetti collaterali. Nessuna pietà invece per Guareschi, che stava dalla parte di Pio XII e della Messa di San Pio V, si autodefiniva reazionario, tifava per la Chiesa del silenzio contro la Ostpolitik. Ma – imperdonabile - aveva avuto un figlio irregolare. Intendiamoci: non è che il fatto sia di poco conto. Ce lo spiegherebbe lo stesso Guareschi, che era cresciuto mandando a memoria il Catechismo di San Pio X, e non quello Olandese o qualche manuale di Karl Rahner. Quello stesso Guareschi cattolico, reazionario e amante della tradizione che il 22 gennaio del 1944 scriveva dal lager alla moglie Ennia: “Abbiate fede come ne ho io. Non illudetevi mio ritorno prossimo. Ci rivedremo se Dio lo vorrà soltanto alla fine della guerra. Penso ai miei bambini e a tutti voi sempre e questo mi dà la forza di resistere a ogni cosa. Se Dio vorrà che ci rivediamo, sia ringraziata la Provvidenza. Se non lo vorrà sia ugualmente ringraziata”.
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