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« Torna agli articoli di Luisella Scrosati
Ripartiamo da Martino V. Nella contesa con i lollardi e gli ussiti, il papa aveva richiesto, come requisito per la confessione integrale della fede cattolica, che essi riconoscessero il papa legittimamente eletto, più precisamente quel papa riconosciuto universalmente e pacificamente dalla Chiesa.
Il grande teologo domenicano, Giovanni di San Tommaso (1589-1644), ha ripreso questo aspetto, sostenendo appunto che sia di fede il riconoscimento che questo preciso uomo "x", riconosciuto dalla Chiesa come papa, sia effettivamente il papa. Non si tratta di una tesi teologica, ma effettivamente di una verità strettamente legata alla fede; più tecnicamente rientra in quella categoria che teologicamente viene denominata "fatti dogmatici". Cerchiamo di capire di cosa si tratta.
Nell'articolazione della nostra adesione di fede alla dottrina insegnata dalla Chiesa, la Professio fidei del 1989 indica tre macro-categorie: l'adesione agli articoli del Credo e agli altri dogmi che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelati; l'adesione a tutto ciò che la Chiesa insegna in modo definitivo; infine l'ossequio dovuto all'insegnamento autentico. Nella seconda categoria, troviamo tutte quelle verità che, pur non essendo direttamente contenute nella Rivelazione, sono tuttavia connesse con essa. Ora, questo tipo di connessione può essere duplice: logica o storica. Un esempio piuttosto chiaro del primo caso è la condanna dell'eutanasia, che è logicamente connessa al divieto rivelato di non uccidere l'innocente. Quanto alle verità connesse storicamente alla Rivelazione, esse comprendono proprio i fatti dogmatici di cui abbiamo parlato sopra; la Nota dottrinale (1998) della Congregazione per la Dottrina della Fede ne riporta alcuni esempi: «la legittimità dell'elezione del Sommo Pontefice o della celebrazione di un concilio ecumenico, le canonizzazioni dei santi (fatti dogmatici); la dichiarazione di Leone XIII nella Lettera Apostolica Apostolicæ Curæ sulla invalidità delle ordinazioni anglicane».
LA LEGITTIMITÀ DELL'ELEZIONE DEL PAPA
La legittimità dell'elezione del papa rientra dunque tra i fatti dogmatici che devono essere tenuti come definitivi, dunque tra quei fatti storici strettamente connessi con la Rivelazione. L'importanza di questi fatti dogmatici mi pare venga ben messa in luce dal classico Compendio di Teologia Dogmatica, del teologo e medievalista bavarese, Ludwig Ott (1906-1985): «Se la Chiesa potesse sbagliare nel suo giudizio su questi fatti o verità, che sono indirettamente connesse con la Rivelazione, ne deriverebbero conseguenze inconciliabili con la sua istituzione divina e con la sua santità».
Prima di comprendere per quale ragione mettere in dubbio la legittimità dell'elezione del sommo pontefice comporterebbe gravi conseguenze, che vanno di fatto a erodere il dogma dell'istituzione divina della Chiesa, della sua indefettibilità e santità, dobbiamo chiarire che si tratta non di qualsiasi elezione del papa, ma di quella del papa universalmente e pacificamente accettato dalla Chiesa.
Giovanni di San Tommaso dà una ragione fondamentale per spiegare perché il mancato riconoscimento di un papa legittimamente eletto non è "solo" un problema disciplinare, ma dottrinale: perché il papa può essere considerato come la regula fidei vivente. Cerchiamo di capire cosa vuol dire questa affermazione. Il teologo domenicano non sta evidentemente affermando che il papa sia al di sopra della Rivelazione e di quanto la Chiesa ha già definito, e ancor meno che qualunque sua esternazione sia regola della fede. Il punto è un altro: il magistero della Chiesa, che il papa incarna quando intende definire qualcosa, sia agendo ex cathedra che quando intende insegnare in modo definitivo nel suo magistero ordinario, è la regola della fede prossima, che "comunica" la regola della fede remota (la Rivelazione). Dunque, se la Chiesa intera si ingannasse nel riconoscere dove sta questa regola della fede vivente, la Chiesa si ingannerebbe sulla fede stessa.
UN ESEMPIO
Facciamo un esempio. Checché se ne dica, san Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (1994), ha inteso intervenire in modo definitivo sull'impossibilità dell'ordinazione delle donne; il carattere definitivo di questo pronunciamento era stato ulteriormente ribadito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Ora, attenzione: non poche persone, soprattutto negli Stati Uniti, rifiutano di riconoscere i pontefici da Giovanni XXIII (incluso) in poi, per varie ragioni; una di queste è la presunta illegittimità dell'elezione di Roncalli nel conclave del 1958, perché, basandosi su una propria interpretazione di quanto scritto da Benny Lai, nel suo noto libro Il Papa non eletto. Giuseppe Siri, cardinale di Santa Romana Chiesa: i voti dei cardinali sarebbero confluiti nell'arcivescovo di Genova, il cardinale Siri, il quale avrebbe accettato e scelto per sé il nome di Gregorio XVII; poco dopo però avrebbe rinunciato, perché una parte consistente dei cardinali contrari avevano minacciato uno scisma. Dunque, l'elezione di Roncalli sarebbe stata nulla e tutti i papi seguenti non sarebbero papi legittimi.
Che cosa comporta una teoria del genere? Che tutta la Chiesa avrebbe recepito la definitività dell'insegnamento di Giovanni Paolo II, regola prossima della fede nel suo pronunciamento sul sacerdozio femminile, ingannandosi, perché Wojtyla in realtà (secondo loro) non era papa. Questo dubbio si potrebbe estendere a tutti i papi dei quali si sospetta la legittimità dell'elezione. Per cui si potrebbe ipoteticamente non essere mai certi di un pronunciamento ex cathedra, come, per es., l'assunzione al Cielo della SS. Vergine, per un dubbio sul fatto che Pio XII fosse veramente papa. E così via.
In sintesi, dichiarare come fatto dogmatico che il papa accettato dalla Chiesa sia veramente papa blinda ogni possibile messa in causa dell'insegnamento del papa, in quanto regola prossima della fede, ossia impedisce che si possano mettere in dubbio i suoi pronunciamenti infallibili o definitivi sulla base di un presunto dubbio sulla legittimità della sua elezione. Dunque, poiché non è possibile che la Chiesa universale si inganni, credendo quanto insegnato infallibilmente o definitivamente dal sommo pontefice, così non è possibile che la Chiesa universali erri ritenendo papa uno che non lo è.
Per evitare fraintendimenti, è necessario precisare che questo fatto dogmatico appena descritto riguarda il fatto che il papa universalmente riconosciuto sia il vero papa e non che sia un buon papa, un papa santo o un papa che non pronuncia errori teologici o perfino eresie. Questi ultimi aspetti non c'entrano nulla con quanto espresso della Professio fidei e spiegato da Giovanni di San Tommaso. Il quale invece aggiunge un corollario importante, ossia che l'universale e pacifica accettazione del papa da parte della Chiesa risolve anche ogni dubbio sulla legittimità della sua elezione: se Tizio è stato accettato come papa allora tutti i requisiti per la validità della sua elezione si sono verificati, e ogni dubbio che possa essere sollevato in un secondo momento decade. Diversamente, basterebbe sollevare dei dubbi per non avere più la certezza della validità dell'elezione del pontefice.
Proseguiremo il discorso nei prossimi articoli, ma è bene ancora una volta ribadire che stiamo parlando del papa universalmente accettato dalla Chiesa, non di un papa la cui elezione è stata contestata da una parte della gerarchia.
Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Luisella Scrosati, nell'articolo seguente dal titolo "Il Papa legittimo e l’accettazione universale della Chiesa" spiega perché la Chiesa universale non può errare nel sottomettersi ad un papa non legittimo. Questo fatto dogmatico discende dalla promessa di Cristo.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 17 marzo 2024:
L'accettazione da parte della Chiesa del papa scelto dai cardinali non è un mero pro forma, ma l'atto fondamentale con cui la Chiesa universale riconosce il proprio capo, Vicario di Cristo, e vi si sottomette. Perché la sottomissione al papa legittimo, quando egli comanda all'interno dei limiti della propria potestà suprema, è indispensabile per appartenere alla Chiesa.
Riprendendo le considerazioni di Giovanni di San Tommaso (vedi articolo precedente), il cardinale Charles Journet (1891-1975), indiscusso teologo e autore della "summa" di ecclesiologia L'Église du Verbe Incarné, ricordava che l'accettazione pacifica universale «è un atto con cui la Chiesa impegna il suo destino. È quindi un atto di per sé infallibile e immediatamente conoscibile come tale»; la conseguenza di questa infallibilità è che questa accettazione manifesta e perciò riconoscibile assicura che «tutti i requisiti per la validità dell'elezione sono stati soddisfatti» (op. cit., I, 1955, p. 624). L'accettazione, secondo Journet, si verifica in due in due modi: negativamente, se l'elezione non viene contestata; positivamente, quando «l'elezione viene dapprima accettata da coloro che sono presenti e in seguito dagli altri».
Il punto centrale, nell'esposizione di Journet, è che la Chiesa ha il diritto di eleggersi un papa, perché Cristo stesso ha fondato la Chiesa su Pietro e sui suoi successori, che sono principio di unità, regola della fede, sede della giurisdizione suprema. Da questo diritto discendono due diritti conseguenti fondamentali: il primo è che la Chiesa ha il diritto di sapere con certezza chi sia concretamente il papa; è per questa ragione che il papa, la cui elezione non è contestata, una volta che egli acconsente e la sua elezione viene resa manifesta, è veramente papa. Il secondo è il diritto della Chiesa a giudicare il papa dubbio, come di fatto è accaduto nella storia. Di particolare interesse è la seguente affermazione del cardinal Journet: «Fin tanto che persiste il dubbio sull'elezione e che il consenso tacito della Chiesa universale non ha rimediato ai possibili vizi dell'elezione, non c'è il papa, papa dubius, papa nullus». Journet riporta la convinzione comune che la pacifica universalis ecclesiæ adhæsio è in grado di rimediare a qualunque vizio di elezione possa essersi verificato, precisamente per il fatto che la Chiesa universale non può errare nel sottomettersi ad un papa che in realtà non sarebbe tale.
Quest'ultima affermazione è fondata su un duplice aspetto dell'infallibilità della Chiesa: in una prima prospettiva, non è altro che l'estensione della fondamentale infallibilità della Chiesa in credendo: così come la Chiesa universale non può errare credendo una verità di fede, analogamente non può errare nel credere un fatto dogmatico, come la legittimità del papa riconosciuto universalmente. Su un secondo versante, possiamo dire che l'infallibilità dell'adesione pacifica e universale è legata all'infallibilità del Magistero ordinario disperso nel mondo; nel nostro caso, ciò significa che la Chiesa gerarchica dispersa nel mondo, ossia l'intero episcopato, non può sbagliarsi nell'insegnare che "Tizio è il papa" e nell’aderire a Tizio come al papa.
Il cardinale gesuita Louis Billot (1846-1931), anch'egli autore di una monumentale produzione teologica, riteneva «come elemento incrollabile e al di là di ogni dubbio» che l'adesione della Chiesa universale a tale papa «è sempre di per sé il segno infallibile della legittimità della persona del Pontefice, e quindi dell'esistenza di tutte le condizioni richieste per questa legittimità» (De Ecclesia Christi, II, 1909, p. 620). Di nuovo, la pacifica e universale adesione gode di un’infallibilità tale da chiudere ogni questione su eventuali dubbi circa le condizioni che renderebbero illegittima l'elezione del pontefice. Attenzione all'argomentazione: non è perché si siano previamente risolti tutti i dubbi circa le condizioni di un’elezione legittima che si considera l'accettazione universale come segno infallibile che tale papa sia papa, ma il contrario. È l'accettazione universale che assicura la legittimità del pontefice e dunque tronca alla radice ogni altro eventuale dubbio in merito ai requisiti della persona, alla legalità delle votazioni, alla legittimità del Conclave, etc.
Billot incalza, spiegando che questo fatto dogmatico discende dalla promessa di Cristo che le porte degli inferi non avrebbero prevalso (cf. Mt 16, 18): se infatti la Chiesa aderisse a un falso pontefice, aderirebbe «a una falsa regola di fede, poiché il Papa è la regola vivente che la Chiesa deve seguire nel credere, e di fatto segue sempre. Dio può talvolta permettere che una sede apostolica vacante si protragga a lungo. Può anche permettere che sorgano dubbi sulla legittimità di questa o quella elezione. Non può però permettere che tutta la Chiesa accetti come pontefice qualcuno che non lo è veramente e legittimamente». Se così fosse, le porte degli inferi avrebbero prevalso, portando tutta la Chiesa a seguire una regola della fede fasulla, il corpo ad unirsi ad una testa non sua, il popolo di Dio e la gerarchia ad obbedire ad un'autorità suprema e universale fittizia. Questa argomentazione è la chiave di volta della questione: la Chiesa universale non può errare nel riconoscere il papa legittimo; dunque, qualunque sia la ragione che fonderebbe il dubbio sulla legittimità del pontefice, essa decade di fronte all'accettazione pacifica e universale della Chiesa.
Ricordiamo ancora una volta che, quando si parla del papa come regola della fede vivente, lo si intende nell'esercizio della sua prerogativa di insegnare infallibilmente o in modo definitivo quanto appartiene alla fede e alla morale. Pertanto è pacifico che il papa possa errare quando si pronuncia su altro e/o allorché non stia definendo qualcosa, anche qualora utilizzasse strumenti ufficiali, come encicliche, esortazioni apostoliche, etc. Ed è ancora più pacifico che il papa possa essere... un pessimo papa.
Il punto è che Dio ha posto al male un limite invalicabile, tale per cui non è mai possibile, nemmeno nel tempo in cui i falsi profeti inganneranno molti (cf. Mt 24, 11), che la Chiesa venga ingannata nella sua universalità su un punto così sostanziale come il riconoscimento del papa legittimo. Per questo, conclude Billot, «la suddetta adesione della Chiesa cura alla radice ogni difetto dell'elezione e prova infallibilmente l'esistenza di tutte le condizioni richieste», per cui «non è più lecito dubitare dell'esistenza di alcun difetto nell'elezione o dell'assenza di alcuna condizione necessaria per la legittimità».
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