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« Torna agli articoli di Don Stefano Bimbi
Un artigiano aveva completato dei lavori nella casa di un uomo che insegnava catechismo in parrocchia. Aveva chiesto al cliente se preferisse pagare senza fattura in modo da potergli fare uno sconto, ma la risposta fu che non esistono solo i peccati di natura sessuale, ma anche quelli legati alla violazione delle norme fiscali. Il catechista era convinto di aver fatto il proprio dovere di cristiano. Ma chi aveva ragione: l'artigiano o il catechista?
Prima di affrontare direttamente il dilemma, è necessario distinguere tra due tipi di leggi: quelle naturali e quelle positive. Le prime sono insite nella natura umana, cioè scritte da Dio nel cuore di ogni uomo, credente o non credente che sia. Le troviamo riassunte nei dieci comandamenti e sono valide per tutti gli uomini. Rappresentano le fondamenta della convivenza civile, senza le quali si cadrebbe nella legge del più forte. Tuttavia, le leggi naturali forniscono solo linee guida generali, senza regolamentare dettagliatamente le questioni pratiche. Ad esempio, è ovvio che per utilizzare veicoli nelle strade occorre una regolamentazione, altrimenti si violerebbe il principio del "non uccidere". La legge naturale non prescrive se bisogna usare la corsia di destra o di sinistra, arrestarsi al semaforo quando è rosso o verde. Questo è compito della legge positiva, ossia posta dall'autorità civile, per garantire nella pratica i principi della legge naturale. Di conseguenza, gli individui non sono obbligati sotto pena di peccato a rispettare solo la legge naturale, ma anche quella positiva, altrimenti regnerebbe il caos. Questo perché ogni forma di autorità deriva da Dio e pertanto merita rispetto. Come afferma san Paolo: «Infatti non c'è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio» (Rm 13, 1b-2a).
Ma siamo sempre tenuti ad obbedire alla legge? Alla legge naturale, sì. Non si può mai uccidere un innocente, ad esempio un bambino concepito, nemmeno se la mamma è stata stuprata o se il bambino presenta malformazioni. Invece per quanto riguarda le leggi positive, dipende. Quando Hitler ordinò l'olocausto degli ebrei, le sue leggi erano state promulgate in modo legittimo, da un parlamento democraticamente eletto. Tuttavia, ciò non significa che le sue leggi dovessero essere rispettate in quanto contrarie alla legge naturale. Stessa cosa vale per le leggi attuali sull'aborto. Risulta dunque evidente che l'autorità civile deve essere rispettata, ma non in ogni caso.
QUANDO SI PUÒ VIOLARE UNA NORMA GIURIDICA?
Esaminiamo i due casi in cui è lecito violare una legge positiva, secondo gli insegnamenti di san Tommaso d'Aquino.
Il primo caso riguarda le leggi positive emanate dall'autorità civile che sono contrarie alla legge morale naturale, alla legge divina o a quella ecclesiastica (come, ad esempio, se uno Stato imponesse il divieto di partecipare alla Messa la domenica). In questo caso non si deve obbedire ad esse. Poiché lo Stato è subordinato sia a Dio che alla Chiesa, non è lecito disobbedire all'ordine di un superiore per seguire quello di un inferiore. Nei casi in cui vi sia conflitto tra la legge dello Stato e quella naturale (o divina o ecclesiastica), la legge statale non solo perde la sua forza vincolante, ma è addirittura obbligatorio trasgredirla. Se uno Stato costringesse i medici a prescrivere contraccettivi o a praticare aborti, essi non solo avrebbero la facoltà, ma il dovere morale di violare tali leggi. Chi non lo facesse commetterebbe peccato.
Se adesso è chiaro che bisogna disobbedire all'autorità quando impartisce comandi ingiusti, meno diffusa è la consapevolezza che esiste un'altra categoria di leggi che è lecito disobbedire senza incorrere nel peccato. Si tratta delle norme dannose. Rientrano in questa categoria tutte quelle norme che non perseguono il fine della legge positiva, che è il bene comune, imponendo ai sudditi oneri eccessivi o non necessari. San Tommaso afferma che queste norme sono piuttosto violenze che leggi e quindi si ha il diritto alla legittima difesa nei confronti di esse. Anche lo Stato può essere, e a volte lo è, un aggressore contro cui difendersi. La differenza tra le norme immorali e quelle dannose è che nel primo caso è obbligatorio violarle, mentre nel secondo è lecito farlo, ma non è un obbligo. Ad esempio, è un'ingiustizia che lo Stato imponga la raccolta differenziata per lucrare su questo commercio oppure abbassi eccessivamente i limiti di velocità per scoraggiare l'uso delle auto. In questi casi, un cittadino, se ne ha la possibilità, è libero di obbedire o disobbedire, e in entrambi i casi non pecca. Peccato sarebbe invece per chi, potendo evadere tasse ingiuste, abbassasse invece il tenore di vita della propria famiglia.
DUNQUE COSA FARE OGGI?
In Italia la pressione fiscale supera il 60%. Di fatto, chi lavora fino a luglio lo fa gratuitamente per lo Stato, e solo da agosto in poi comincia a guadagnare per sé. È evidente a chiunque che si tratta di un vero e proprio saccheggio, perpetrato con il suadente slogan di "pagare tutti per pagare meno". L'idea che l'evasione fiscale sia il principale problema della società odierna e che vada perseguita con ogni mezzo, nonché con la riprovazione sociale, è una grossa menzogna, alimentata da decenni di tassazione esosa senza alcun cambiamento significativo, nonostante le promesse dei politici di abbassare le tasse. Per ridurre le imposte non serve perseguire gli evasori, ma è necessario ridurre drasticamente i servizi forniti dallo Stato. In Italia lo Stato interviene in ogni ambito: istruzione, sanità, infrastrutture, gestione dei rifiuti, sussidi per chi non lavora e per la maternità. Il problema è che lo Stato è un pessimo imprenditore, privo dell'incentivo costituito dalla competitività sul mercato. Questo è il motivo per cui i dipendenti pubblici sono spesso accusati di essere negligenti e svogliati. Questo è dovuto al fatto che i dipendenti pubblici rischiano meno essendo meno a rischio di perdere il lavoro rispetto a chi lavora nel settore privato. Ognuno di noi conosce casi di dipendenti pubblici che passano le giornate facendo poco o nulla, ma che continuano a ricevere lo stipendio, a differenza di chi, nel settore privato, deve realmente meritarselo. Ovviamente non si può generalizzare e ci sono dipendenti pubblici bravissimi che fanno il loro dovere, ma il problema è che ricevono lo stesso stipendio di chi invece non lavora con la stessa dedizione.
Infine bisogna notare che in passato ci sono stati Paesi con livelli di tassazione ancora più elevati di quelli attuali. Sono i Paesi comunisti, dove lo Stato si appropriava quasi del 100% della ricchezza dei cittadini per ridistribuirla a suo piacimento. Si diceva che questo sistema avrebbe garantito una maggiore giustizia sociale e così "eliminare la povertà" (anche questo un ricorrente slogan di oggi). Qual è stato il risultato? Gli stati comunisti erano caratterizzati da povertà diffusa. Se tutto appartiene allo Stato, perché impegnarsi per produrre di più visto che la ricchezza verrà redistribuita a chi non si impegna altrettanto? Inoltre, per rendere i cittadini tutti uguali, si privano della libertà. Non si può essere contemporaneamente liberi e uguali. Liberté ed égalité erano l'utopia rivoluzionaria. O scegli di rispettare la libertà e quindi ci sarà di conseguenza diseguaglianza, oppure l'unica alternativa è privare della libertà per costringere una forzata ed innaturale uguaglianza.
RIPARTIRE DALLA SUSSIDIARIETÀ
Dovremmo a questo punto renderci conto che con un prelievo fiscale del 60% siamo un Paese che ha applicato l'ideologia comunista, magari senza che i cittadini se ne siano accorti in quanto non ci sono stati espropri forzati brutali. I moralisti che seguono la dottrina di San Tommaso ritengono che un'equa tassazione dovrebbe essere intorno al 10-15%. Se lo Stato prelevasse solo questa percentuale del reddito dei cittadini potrebbe limitarsi a fornire servizi essenziali come difesa dei confini e ordine pubblico, mentre alla società civile sarebbe restituita la gestione di scuole e strutture sanitarie, come avveniva nel medioevo quando scuole e ospedali nascevano, non a caso, per l'iniziativa dei cristiani e con l'aiuto della Chiesa nel rispetto di quel principio di dottrina sociale della Chiesa oggi così dimenticato che è la sussidiarietà: «Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare» (Quadragesimo anno, Papa Pio XI, 15 maggio 1931).
In conclusione, applicando questi principi si rilancerebbe l'iniziativa della società civile. Ad esempio i genitori sarebbero stimolati ad occuparsi dell'educazione dei propri figli costituendo scuole parentali anche grazie alle risorse economiche che una giusta tassazione lascerebbe nelle loro tasche. Si avrebbe anche la conseguenza che i disoccupati non avrebbero diritto a sussidi provenienti dai soldi di chi lavora, ma dovrebbero cercarsi un lavoro o, se anziani, basarsi sui risparmi di quando il lavoro ce l'avevano. Questo stimolerebbe anche il rilancio della famiglia per farsi carico di chi non fosse abile al lavoro per motivi indipendenti dalla sua volontà. Coloro che guadagnano onestamente e non beneficiano di contributi statali saranno contenti di sentir dire queste cose, mentre chi gode di ingiusti privilegi si sentirà privato di presunti "diritti" (presunti in quanto sganciati dai relativi doveri che sono a carico di qualcun altro). Mi spiace davvero, ma vorrà dire che gli staremo simpatici la prossima volta.
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